
Crisi è una parola di uso comune. Quando parliamo di clima, per esempio, come quando parliamo di economia, di sanità o di politica. In tuti questi contesti indica qualcosa che vorremmo evitare.
Chi potrebbe mai desiderare un’altra crisi sanitaria?
Da alcuni anni, si fa un uso un po’ diverso della parola crisi nel mondo della psicologia divulgativa. Potremmo riassumerlo così: è importante abbracciare la crisi.
L’idea di fondo è che, senza una crisi personale, le persone non sono disposte a cambiare le proprie abitudini, anche quelle che le fanno soffrire, perché noi esseri umani preferiamo una vita dolorosa che conosciamo, rispetto a una potenzialmente più in linea con i nostri desideri, ma che non sappiamo se può esistere per davvero. Quindi dobbiamo essere contenti di essere in crisi.
Perfetto. Eppure mi chiedo: se una crisi è una crisi, ovvero un momento in cui le nostre certezze – magari non tutte ma molte – smettono di funzionare, un momento in cui non ci fidiamo più di noi stessi e quindi abbiamo paura a scegliere anche le cose più piccole, come possiamo pensare anche di doverla accogliere fin da subito, come si suol dire, come una bella opportunità?
Spesso in psicoterapia arrivano persone che vivono momenti di crisi personale, di coppia, familiare; persone che provano paura, vergogna, rabbia; persone che si guardano indietro e si incolpano per ciò che hanno e non hanno fatto, che sentono di voler cambiare, ma temono di intaccare equilibri – seppur dolorosi – faticosamente costruiti in una vita.
Altrettanto spesso queste persone arrivano con un carico in più da sopportare: non sono nemmeno capace di prendere questa crisi come si deve!
Così, al dolore per il vissuto personale, si aggiunge la colpa di non essere abbastanza veloci nel trasformare il dolore in forza, la sofferenza in un’esperienza con cui ci si è già pacificati.
La crisi è perciò un momento in cui ci sentiamo presi dentro un loop dal quale ci sembra impossibile uscire, da cui vorremmo fuggire il più velocemente possibile, ma temiamo che ogni scelta porti con sé implicazioni inaccettabili, allora meglio stare immobili.
Ma si può davvero stare immobili se il tempo immobile non lo è?
Tutto questo si accompagna a emozioni che, talvolta come ondate di mareggiata, talvolta come sotterranei fiumi carsici, entrano nelle nostre giornate e ne lasciano il segno. Il dolore, la paura, la speranza, la delusione; la sensazione che non ci sia niente da fare e l’entusiasmo, di solito effimero, che le fa da contraltare…
E allora ci chiediamo: ma che senso ha?
Sono convinto che parte del lavoro della psicoterapia sia proprio quello di rispondere a questa domanda: dare significato al dolore che viviamo, perché da lì, posizionando quel dolore dentro la nostra vita e riconoscendone il ruolo, possiamo ricostruire la nostra storia, passata e quindi futura.
E sono anche convinto che altrettanto importante sia darci il tempo di stare dentro quella crisi e quelle emozioni, dentro anche al desiderio di scappare da quella crisi, perché sono le nostre emozioni e in quanto tali ci meritiamo di rispettarle.
Sono convinto che, se ci sentiamo in crisi e non viviamo questa crisi come una veloce nuvola di passaggio, allora vuol dire che quella crisi è importante nella nostra vita e merita che ce ne prendiamo cura, prima di vederla come qualcosa da ringraziare per passare oltre.
Alessandro Busi
a Mestrino, Padova e su Skype
Le precedenti parole riscoperte sono: attesa, quasi, vulnerabilità, come se, relazione, virtuale, anche, compromesso e concretezza.