
Secondo la Psicologia dei Costrutti Personali viviamo l’ansia quando ci affacciamo a un futuro che non sappiamo immaginare e, tanto più questa impossibilità di immaginare riguarda una fetta rilevante della nostra vita, tanto più questa ansia si farà sentire.
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È molto comune, nella nostra cultura, l’idea per cui è bene essere qualcosa di unico: io sono così, nient’altro che così.
È un racconto potente, emozionante, ma quale rischio che porta con sé?
Il rischio è che, se le cose non vanno come ci aspettiamo, se arriva una pandemia, per esempio, a scombinarci i piani, ci troviamo con un pugno di mosche e, ripartire da un pugno di mosche, a cui diamo il nome di fallimento, diventa più difficile.
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Questo mix è l’esperienza che molti stanno vivendo oggi: da un lato le domande che si inseguono – cosa succederà al mio lavoro, alle mie relazioni, alle strette di mano? – dall’altro la paura che, se le cose dovessero cambiare, potremmo non riconoscerci più – che ne sarà di me se cambiano tutte queste cose della mia vita?
Per trovare un modo di stare in mezzo a questo affollarsi di domande, la parola che voglio riscoprire oggi è anche, perché, pur dentro i vincoli sociali e personali che ognuno vive, possiamo chiederci: nella mia vita sono stato anche?
Potremmo scoprire, se ci concediamo tempo e fatica, che siamo più complessi di quel monolite che ci eravamo raffigurati; potremmo scoprire lati di noi che ci piacciono e altri non vorremmo, che bontà e cattiveria, giusto e sbagliato non si distinguono in modo netto, nemmeno dentro la nostra storia; potremmo scoprire che nella nostra vita abbiamo avuto un ruolo attivo e che da lì possiamo ripartire a immaginare il futuro, per quanto anche sfocato, per quanto anche diverso da quello che ci aspettavamo, per quanto anche rischioso, ma di certo anche nostro.
Alessandro Busi
psicologo e psicoterapeuta
a Padova, Mestrino e su Skype
Le precedenti parole riscoperte sono: attesa, quasi, vulnerabilità, come se, relazione, virtuale.
Un pensiero su “La riscoperta delle parole #7: anche”
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