I momenti di crisi ci impongono di ripensare il nostro modo di vivere: le abitudini più piccole come le aspirazioni più grandi.
La sensazione è quella di perdere per strada speranze, aspettative, certezze, quindi di faticare a immaginare il futuro.
È come se le nostre storie non funzionassero più e le parole che eravamo abituati a usare perdessero di significato, mentre riemergono altre parole, paurose, ingombranti e che pensavamo fossero – per noi – dimenticabili: pandemia, quarantena, coprifuoco.
Questa rubrica La riscoperta delle parole nasce proprio da lì: per dare un senso nuovo alle parole che già conosciamo, quindi costruire quelle storie che ancora non sappiamo raccontare e ricominciare a immaginare il futuro.
La riscoperta delle parole #1: Attesa
L’attesa è il tempo nel quale le cose sembrano non succedere.
L’attesa è da ingannare, si dice. Seneca, in La brevità della vita, dice invece che l’attesa è il maggiore ostacolo al vivere.
Di contro, c’è chi sostiene che l’attesa sia la bilancia sulla quale pesare la portata dei sentimenti, che sia dove si rivelano le cose importanti.
Poi c’è chi dice che è la capacità di stare nell’attesa sia la virtù dei saggi, mentre per altri è il rifugio dei pavidi.
Le persone si sono storicamente scontrate sul significato della parola attesa, ma, che la si veda come qualcosa da evitare oppure come una quasi auspicabile difficoltà da affrontare, resta l’idea di fondo: l’attesa è un tempo sospeso, in cui, l’esistenza sembra mettersi in pausa, prima di ripartire nel momento deciso: l’arrivo dell’amore, le ferie, la nascita di un figlio, l’inizio di un nuovo lavoro, la fine dell‘isolamento forzato.
Il problema è che, per quanto ci proviamo, noi non possiamo mettere in pausa la nostra vita. Anzi, proprio la sensazione di essere in sospeso ci genera sofferenza, perché sentiamo il tempo dell’attesa come tempo meno significativo e a nessuno piace che il proprio tempo non sia significativo. Come se l’unica domanda possibile fosse: quanto manca?
Allora mi dico, proviamo a cambiare domanda.
Se provassimo a chiederci: cosa sta succedendo dentro questa attesa?
E poi: come sto dentro questa attesa?
E poi: chi vorrei assieme a me? E in che modo vorrei che stessimo assieme?
E poi ancora: dove si posiziona questa attesa dentro la storia della mia vita?
Potremmo scoprire che l’attesa non è un tempo sospeso, ma è un tempo pieno di noi, con dei vincoli più stringenti, che non ci aspettavamo, che non volevamo, ma con i quali dobbiamo fare i conti.
Potremmo scoprire che stiamo soffrendo, che siamo in ansia, che è doloroso. Potremmo sorprenderci, trovare attività da fare, magari recuperare passioni messe da parte negli anni; oppure potremmo scoprire che di reagire, di fare miriadi di cose non ne abbiamo proprio voglia e che preferiamo anche lasciarci prendere dallo sconforto (è forse vietato farsi prendere dallo sconforto?).
Potremmo scoprire, insomma, che non è necessario ingannare l’attesa né viverla come una prova da superare per arrivare alla saggezza, ma che, come ogni tempo della nostra vita, l’attesa è un tempo con dei vincoli dentro i quali possiamo provare a scegliere come stare.