
Illustrazione di Guido Scarabottolo per l’iniziativa “Corriconme” di Amnesty international
Il rientro dalle ferie porta con sé un’abitudine su cui spesso ironizziamo: i buoni propositi.
Andrò in palestra; mi iscriverò al corso di pittura, scrittura, fotografia, chitarra…; mangerò meglio, andrò a correre; lavorerò meno, lavorerò di più; uscirò di più, uscirò di meno; userò meno lo smartphone, leggerò di più; dedicherò più tempo a…
Anche io mi sono promesso di far uscire un post al mese nel blog: lo farò? Ci riuscirò? Chissà.
A prescindere dal contenuto, che riguarda le passioni e gli interessi e i progetti che ognuno di noi ha, questi propositi ci dicono una cosa che desideriamo: dare una direzione alla nostra vita.
Una cosa che spesso mi succede nella stanza della terapia è di incontrare persone che raccontano di non sapere più dove sta andando la propria esistenza, e quindi di avere la sensazione di non riconoscersi più.
Che fine hanno fatto i miei progetti? Si tramuta facilmente in: che fine ho fatto io?
E sia chiaro che ci hanno provato a riacciuffare il tempo – mi sono detto, ok, fai questo, ma poi le cose mi sovrastavano. E adesso? Come faccio? – ma più questi tentativi falliscono, più sentono che non c’è speranza.
Ecco che allora i propositi diventano qualcosa di molto serio, su cui è certo bene scherzare ma non per questo sono da sminuire, perché racchiudono in sé la speranza di sentirsi padroni del proprio tempo.
Ma dare una direzione alla vita che viviamo significa controllarla? Possiamo essere padroni del nostro tempo? Possiamo veramente averne il controllo?
Un’altra cosa che spesso emerge in psicoterapia è che, se da un lato non ci sta bene lasciare che le cose succedano, d’altro canto la ricerca del controllo è fonte di frustrazione e poco altro.
Ma allora? Che si può fare?
Come dicevo, in terapia spesso questa è una parte del lavoro, ovvero quella di costruire la strada che la persona si sente di sperimentare, e che sia diversa dalle due espresse precedentemente. Una strada fatta di parole nuove, che raccontino una storia nella quale non saremo né vittime del destino, né controllori degli eventi, ma parte in gioco, narratori attivi della nostra vita.
Allora, se di racconto si tratta, anche i propositi hanno un nuovo senso: si trasformano da prove a tentativi, sfide che noi, come protagonisti del nostro romanzo, possiamo affrontare e fallire, perché questo fallimento, non solo ci parla di noi, ma diventa uno snodo, che apre almeno a una nuova domanda:
che storia continuo da qui?