
Una cosa che mi è capitato di sentirmi dire varie volte è che la psicologia e la psicoterapia non siano concrete.
La medicina è concreta, l’ingegneria di certo, l’ecologia perfino, ma la psicologia e la psicoterapia non possono esserlo perché si occupano di pensieri e di emozioni, di come diamo senso a quello che viviamo e di come possiamo cambiare.
Questo modo di vedere si tramuta per molti in uno scoglio non da poco, quando sentono che qualcosa non va nelle proprie vite, ma sentono anche di non poter chiedere un aiuto perché: insomma, non è mica un problema concreto!
Allora mi chiedo: se sono concreti il mondo in cui ci troviamo, le case che abitiamo e le auto che guidiamo; se queste case e questo mondo li viviamo con dei corpi concreti anche loro… come è possibile che l’esperienza che facciamo di tutte queste cose non sia concreta?
Non è concreta l’emozione che proviamo quando nasce o quando muore una persona che amiamo? Non è concreto quell’amore?
Ma pensiamo anche all’odio, al rancore, alla solitudine, alla paura di fallire e al desiderio di rischiare, all’immaginazione dei progetti di vita e all’ostinazione nel portarli avanti e al dolore nel doverli modificare e alla soddisfazione nel ritrovarli cambiati ma comunque nostri.
Ecco perché la parola che voglio riscoprire è concretezza, perché ci meritiamo di utilizzarla in modo più ampio, per esempio chiedendoci: come cambierebbe il mio modo di vivere le emozioni e i pensieri se iniziassi a dirmi che sono concreti?
Sono convinto che, se può essere utile nei momenti di serenità, avrebbe un effetto tanto più forte quando siamo in crisi, perché potremmo quantomeno smettere di incolparci di stare male per qualcosa che è solo nella nostra testa, o di dirci che si tratta solo di emozioni e idee, mentre potremmo iniziare a dirci: ok, sono nella mia testa e proprio perché sono nella mia testa e con la mia testa io do senso a quello che vivo, allora è importante che me ne occupi.
Non solo. Sono anche convinto che vedere concretezza in quello che pensiamo e proviamo, ce ne farebbe sentire maggiormente anche la responsabilità, per cui non potremmo più accantonare, ma ci troveremmo più facilmente a chiederci: come voglio e mi sento di cambiare? In che direzione?
Perché alla fine, se concreta è l’esperienza che viviamo, che è fatta dal mondo che ci circonda, dal corpo che siamo, dalle relazioni che abitiamo, dai punti di vista che assumiamo, dalle emozioni che proviamo, dai desideri che custodiamo, allora concreti diventano anche cambiamenti a cui ci possiamo affacciare.
Alessandro Busi
psicologo e psicoterapeuta
Padova, Mestrino e su Skype
Le precedenti parole riscoperte sono: attesa, quasi, vulnerabilità, come se, relazione, virtuale, anche e compromesso.