
Immaginiamo una storia di coppia.
Si sono incontrati cinque anni fa e qualcosa li ha reciprocamente attratti. Sono usciti assieme, si sono conosciuti, si sono piaciuti. L’uno era esattamente come l’altro lo desiderava; un impegno reciproco che cresceva man mano che si conoscevano.
Nei loro termini, desideravano il bene l’uno dell’altra.
Se un giornalista, uno di quelli che fanno le interviste in strada sotto San Valentino, avesse chiesto loro, qual è il segreto del vostro amore?, avrebbero risposto, senza pensarci troppo, che il loro segreto era esserci per l’altro, nel miglior modo possibile.
Pronunciando quelle parole, a uno dei due sarebbe scesa una goccia di sudore, assieme a un pensiero: ma se per una volta non ci fossi, cosa succederebbe?
Questo piccolo pensiero, questa dozzina di parole, avrebbe generato un vortice che avrebbe ruotato attorno a una domanda ancora più grande: se non fossi come si aspetta, cosa ne sarebbe di noi?
Questa è una domanda che spesso emerge nei percorsi di psicoterapia, non solo riferita ai partner, ma alle persone rilevanti della vita – familiari, amici, amanti, figli – perché, se da un lato è comprensibile e comune il desiderio di soddisfare i desideri di chi abbiamo accanto, dall’altro corriamo il rischio di convincerci che l’altra persona, se smettiamo di essere così soddisfacenti, non abbia altra ragione per stare con noi.
Beh, facile, allora non bisogna soddisfare i desideri degli altri!, si potrebbe dire.
Certo, anche questa è una possibilità, ma perché? Perché dovremmo privarci del piacere di far felice una persona a cui vogliamo bene? Per la paura poi di deludere le aspettative che potrebbe farsi? E poi ancora: se lo facciamo, avremo delle buone ragioni per cui lo facciamo, no?
Vabbè, ma allora, cosa bisogna fare?!
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C’è una poesia della poetessa Alessandra Racca che recita così:
“Nico, mi fai una frangia cortissima?”
“Neanche se mi paga.”Come il mio parrucchiere
[Alessandra Racca, Poesie antirughe, Neo edizioni, 2011]
vorrei mi trattasse la vita:
forbici in mano
e idee chiare
su come farmi stare bene
malgrado me.
Purtroppo (ma anche per fortuna), nelle relazioni, per quanto possa piacerci l’idea di sapere a priori cosa è giusto o sbagliato fare, o che qualcuno possa saperlo per noi, ci tocca fare come gli scienziati: provare, sbagliare, riprovare, essere soddisfatti, essere insoddisfatti, riprovare ancora, e via dicendo.
In questo modo possiamo vedere che ci sono momenti in cui desideriamo accontentare chi abbiamo accanto e altri in cui proprio non ci va; possiamo incontrare la paura di legarci, della responsabilità, oppure la paura di essere soli; possiamo scoprire la paura di deludere, il terrore di essere abbandonati, per cui ci ritroviamo a fare cose che magari nemmeno ci piacciono, ma è quello che sentiamo di poter fare; possiamo scoprire, però anche, che, se ci diamo la possibilità di deluderci e di deludere, ci sono altre ragioni che ci tengono assieme a quella persona, che sta con noi, non tanto – non solo – per quello che facciamo per lei, ma proprio per chi siamo; possiamo scoprire che è arrivato il momento di chiudere, oppure di ripartire da una domanda diversa, che ci apra a nuove possibilità; una domanda come: Se ci deludessimo, chi altro potremmo essere assieme?
Alessandro Busi
psicologo e psicoterapeuta
a Padova, Mestrino e su Skype