Vai al contenuto

Alessandro Busi Psicoterapeuta Padova

Ogni vita merita un romanzo

  • Home
  • Chi sono
  • Psicoterapia
    • Psicoterapia
    • Aree di intervento
  • Lavoro con i gruppi
  • Contatti
    • A Padova
    • Su Skype
  • Spunti di riflessione

Tag: skype

La riscoperta delle parole #12: Storia

14 marzo 202112 marzo 2021

In questi mesi mi è successo di ascoltare alcuni podcast dello storico Alessandro Barbero.
Il modo che usa per avvicinarci agli eventi storici è quello di focalizzarsi sul senso che aveva per le persone dell’epoca comportarsi in quello specifico modo. È una precisazione che fa spesso: non pretendete di guardare con gli occhi di oggi gli eventi e le persone del passato, se li si volete capire.
Perché Cavour spinse tanto per l’Unità d’Italia? Perché i soldati italiani accettarono di combattere a Caporetto? Perché scoppiò la rivoluzione francese?
Se vogliamo capirli dobbiamo provare a metterci nei desideri di Cavour, nelle aspettative dei soldati sul fronte della Grande Guerra, nella visione del mondo e della società che c’era in Francia alla fine del ‘700.

***

Una sensazione che molte persone raccontano in psicoterapia è questa: la paura di aver sprecato il proprio tempo, di non aver scelto quello che volevano ma, talvolta quello che dovevano, talvolta quello che la vita faceva capitare loro sotto i piedi.
Questa sensazione porta con sé un rosario di altre sensazioni che vanno dall’incolparsi, al sentire il peso del tempo che passa, al pensare di aver sbagliato, o peggio ancora di avere qualcosa di intrinsecamente sbagliato: perché tutti gli altri sono capaci di vivere e io no?
Questa visione apre purtroppo a uno scenario difficile da scardinare, perché è lo scenario nel quale sentiamo di non avere la possibilità di incidere in prima persona in quello che sembra essere un destino già scritto.

Un’altra sensazione ricorrente in terapia è però anche lo stupore; lo stupore di prendersi del tempo per chiedersi: ma io, questa vita, come l’ho costruita?
Lo stupore, a volte piacevole e a volte doloroso, di guardare al proprio tempo, alle emozioni provate, ai bivi di fronte ai quali ci si è trovati, e ridare senso alle scelte fatte, che magari non erano quelle più desiderate, ma di certo erano quelle più sensate in quel momento.
In questo modo, infatti, possiamo scoprire che non abbiamo vissuto la vita dei sogni, ma quella che, dentro tutte le asperità che ci sono toccate, ci siamo conquistati. Le occasioni sprecate potrebbero iniziare ad avere un senso, e così il tempo lasciato andare, le scelte che ci apparivano così sbagliate.
Allo stesso modo possiamo capire anche quello che ci sentiamo di fare e di non fare oggi, quello che vogliamo e quello che ancora ci fa troppa paura; e da lì immaginare strade alternative e aprirci, se e come ce la sentiamo, a nuove possibilità.
Perché, se per comprendere la peste del ‘300, come dice Barbero, dobbiamo entrare negli occhi di chi viveva all’epoca, come possiamo pretendere di capire la nostra vita senza dare valore alla nostra storia?

Alessandro Busi
psicologo e psicoterapeuta
a Padova, Mestrino e su Skype

Le precedenti parole riscoperte sono: attesa, quasi, vulnerabilità, come se, relazione, virtuale, anche, compromesso, concretezza, crisi e paura.

Fare la psicoterapia nella fase 2

18 Maggio 202016 Maggio 2020

jeshoots-com-9n1USijYJZ4-unsplash

Il tempo è una cosa strana: c’è e non c’è, si fa sentire ma proviamo a ignorarlo.
Sarà per questo, per dare corpo a qualcosa che corpo non ce l’ha, che tendiamo a suddividere quel flusso continuo?
Perché con il tempo raccontiamo come eravamo, come siamo e come saremo, trovando differenze e somiglianze, quindi abbiamo bisogno di qualcosa che faccia da unità di misura dei nostri cambiamenti – giornate, anni, età, fasi della vita, epoche storiche…

Anche questa pandemia la stiamo raccontando per fasi.
Ci sono state state la fase del pericolo lontano, poi quella della sottovalutazione, poi quella dell’emergenza, poi quella del lockdown, la cosiddetta fase 1, e ora siamo sempre di più dentro la fase 2, che potremmo chiamare fase della discrezionalità e della costruzione del futuro.
Nella fase 1 eravamo in una situazione di attesa e la risposta a molte domande era “no”, oggi siamo in una fase potenzialmente lunga e in cambiamento, nella quale, alle domande, si risponde con “dipende”, “pensaci”, “valuta”.
Questo, dandoci molta più libertà, ci mette di fronte alle nostre scelte e ai nostri timori, che non possono più stare nascosti nelle mura del divieto; ma diventano responsabilità personale e collettiva.
Ma d’altro canto, c’è altro modo per costruire un futuro a lungo termine?

Anche nella psicoterapia emergono nuove domande – Cosa desidero? Di cosa ho paura? Cosa mi sento di fare? Cosa penseranno gli altri di me? Cosa dovrei fare? – che riguardano sì la vita da costruire dentro i nuovi vincoli, ma anche le nostre paure più personali e di vecchia data: la paura di sbagliare, la paura del giudizio, la paura di non essere all’altezza…
Perciò ansia, desiderio di rinchiudersi, desiderio di sottovalutare, di fingere che tutta la situazione non sia vera; ma anche la possibilità di chiederci: cosa vorrei tenere di questo periodo nel mio futuro? Cosa dicono di me queste nuove paure? Come posso fare?
Magari scopriamo che questa situazione sta facendo emergere vissuti che già ci appartenevano e che ora non possiamo più sopire; ma potremmo scoprire anche che la nuova scansione delle giornate non la vogliamo buttare, oppure che le relazioni hanno un valore diverso rispetto a quello che avevamo dato loro fino a due mesi fa. E quindi di nuovo, come possiamo fare per tenerci strette queste nuove consapevolezze e renderle concrete nel futuro?

Come possiamo fare? è la domanda che mi sono posto anche io quando ho deciso che avrei gradualmente ripreso a fare i colloqui anche negli studi di Mestrino e Padova e mi sono risposto due cose:
– primo, che rimane la possibilità, per chiunque lo desideri, di effettuare la psicoterapia via Skype. Questa scelta nasce, da un lato dalle ragioni sanitarie per le quali qualcuno potrebbe preferire non venire in studio, dall’altro perché, in queste settimane più ancora di prima, mi sono reso conto che la psicoterapia via Skype non è una psicoterapia inferiore, ma una delle possibilità che oggi abbiamo di stare nella relazione clinica, possibilità che porta con sé vissuti, significati, emozioni che permettono un lavoro intenso e personale;
– secondo, che, proprio perché il lavoro di psicoterapia è personale, se per qualcuno la terapia online è percorribile, per altri non lo è, quindi, seguendo le indicazioni dell’Ordine degli psicologi del Veneto, ho ritenuto fosse importante riprendere le attività anche di persona nei modi più sicuri possibile:

  • poltrone a distanza di almeno 2 metri;
  • obbligo di indossare la mascherina;
  • gel igienizzante in studio da usare all’arrivo e prima di uscire;
  • pulizia delle superfici e ricambio di aria fra un colloquio e l’altro.

Tutto questo per me significa novità, che nasce dal compromesso fra le vecchie abitudini e le nuove condizioni, perché, proprio come abbiamo sempre fatto con la vita, è così che possiamo ripartire dentro questa nuova fase: tenendo ciò che per noi conta, lasciando andare qualcosa che non ci piace, che non possiamo continuare oppure che non sentiamo più appartenerci, e costruendo nuove strade da percorrere.

Alessandro Busi
psicologo e psicoterapeuta a Padova, Mestrino e su Skype

La riscoperta delle parole #6: virtuale

6 Maggio 20202 commenti

computer-4566094_1920

A febbraio uscì una notizia che mi colpì molto. Ve la riassumo, ma lascio anche il link a un articolo più completo. La storia è questa.
Un vigile urbano di 44 anni di un piccolo paese lombardo parcheggiò impropriamente la propria auto in un parcheggio per disabili. Il presidente di un’associazione per disabili la fotografò e denunciò attraverso i propri canali social il comportamento scorretto. A quel punto, il vigile fu inondato di offese, minacce e auguri di morte, che continuarono anche quando pagò la multa e quando fece una donazione all’associazione accompagnata a una lettera di scuse per l’errore commesso. Ma la cosa ormai era sfuggita di mano.
Quello che immagino è che, per quest’uomo, la vergogna fosse diventata troppo grande da sopportare, così, il 3 febbraio, decise di togliersi la vita.
La storia potrebbe finire qui, invece nei giorni successivi fu il presidente dell’associazione a diventare bersaglio di offese, minacce, auguri di morte.

Potremmo chiederci tante cose per capire una tragedia simile: perché denunciamo i comportamenti scorretti attraverso i social, cosa ci aspettiamo che accada? Come funziona la dimensione di branco, quando il territorio è quello telematico?
Potremmo interrogarci sulla vita dentro la quale queste offese cadevano. Alcuni articoli hanno sottolineato che il vigile viveva già una situazione di sofferenza. Certo, dico io, ma questo non ci assolve, anzi, ci ricorda che ogni volta che commentiamo, offendendo o elogiando, non stiamo scrivendo parole che cadono nel vuoto, ma stiamo intervenendo nella vita di qualcun altro, una vita già fatta di felicità, dolori, paure, speranze…
A prescindere dal punto di vista che scegliamo di adottare, è innegabile che le esperienze virtuali generino dentro di noi emozioni che sono reali tanto quanto le emozioni legate alle esperienze offline.

In queste settimane, tutti, anche i più restii, ci siamo trovati di fronte alla necessità di ampliare la nostra vita telematica: per lavorare, per poter incontrare parenti e amici, per poter allargare le mura di casa. Qualcuno ha accolto questa novità, qualcuno l’ha rifiutata, molti l’hanno accettata con momenti alterni di piacere e fastidio. Non credo ci sia un modo giusto e uno sbagliato di viverla, ma quello che è certo è che tutti abbiamo provato, rispetto al nostro essere online, emozioni che non possiamo sminuire, perché sono emozioni che riguardano le nostre relazioni, il nostro mondo e la possibilità di immaginarci nuovi.

Lo stesso è successo anche in psicoterapia. L’aumento – parlo di aumento perché io ho sempre fatto anche terapia online – dei colloqui via Skype ha permesso di scoprire differenze personali dentro un cambio di setting così forte (chi lo preferisce? Per chi è difficile? Come mai?), ha permesso modi nuovi di stare assieme (es. Come mi sento a chiedere la privacy ai miei familiari?), emozioni potenti – positive e negative che siano – che non ci saremmo aspettati (es. Come mi sento a raccontarmi in terapia, ma dentro le mura di casa?). In altri termini, questi nuovi vincoli ci hanno obbligato a esplorare strade che magari non avremmo percorso e quindi ad averle, ora e nel futuro, come alternative in più.

Per questo, la parola che voglio riscoprire oggi è virtuale, perché possiamo provare a smettere di considerarla come un realtà meno reale, ma come una via possibile: possiamo rifiutarla, accettarla, oppure decidere in che modo percorrerla; possiamo chiederci come ci stiamo, cosa ci concediamo, cosa evitiamo e cosa potremmo fare di diverso; possiamo chiederci che ricadute ha nella nostra vita, nelle nostre relazioni; possiamo immaginare le ricadute di ciò che facciamo nelle vite di chi incontriamo online; ma non possiamo prescindere dal pensare che fa parte della storia che scriviamo, oggi.

Alessandro Busi
psicoterapeuta a Padova, Mestrino e su Skype

Le precedenti parole riscoperte sono: attesa, quasi, vulnerabilità, come se, relazione.

La riscoperta delle parole #4: Come se (di Chiara Centomo)

15 aprile 202015 aprile 20204 commenti

Proseguiamo con La riscoperta delle parole** e anche con gli ospiti. Oggi la parola, o meglio, le parole ce le propone la collega psicologa e psicoterapeuta Chiara Centomo*.
Con lei esploreremo il linguaggio, il ruolo dei modi di parlare nella nostra vita e in particolare, vedremo l’importanza di due parole minuscole ma così grandi: come se.

The_Human_Condition_1935

“La condizione umana” di R. Magritte (1935)

Sin da bambini ci è stato insegnato che esistono due tipi fondamentali di linguaggio, uno letterale e uno metaforico, e che entrambi possono esprimere lo stesso contenuto: Romeo può dichiararsi a Giulietta sia affermando di essere innamorato di lei, sia che le piace da impazzire. La differenza starebbe nel fatto che la modalità letterale (prerogativa della scienza, di un parlare esatto) permette di essere precisi e oggettivi, mentre la metafora sarebbe materia prima di artisti, poeti e sognatori.

Se esaminiamo più a fondo il nostro linguaggio, tuttavia, scopriamo che il parlare quotidiano è zeppo di espressioni e immagini metaforiche utilizzate per consuetudine come se fossero letterali. Pensiamo ad esempio al tempo che si afferra, si usa, si spreca o è lungo, pesante, lento. Le idee maturano, l’amore si conquista, certi pensieri sono difficili da sradicare, le persone possono essere elastiche o rigide e quando sono felici si sentono al settimo cielo, mentre se sono tristi hanno l’umore sotto terra.

È molto probabile che queste espressioni, insieme alle centinaia individuate da Lakoff e Johnson nel loro bellissimo libro “Metaphors we live by”1, non vengano immediatamente ricondotte al “come se” che implicitamente contengono (il tempo come se fosse un oggetto, l’innamoramento come se fosse un assedio, le persone come se fossero dei materiali con certe proprietà fisiche, ecc.). Esse, anzi, appaiono come modi appropriati e veri – letterali, appunto – di comunicare.

Si dice spesso che il modo in cui parliamo contribuisce attivamente a costruire la realtà che viviamo. Può sembrare un’affermazione astratta, fino a quando non consideriamo le metafore. Per esempio, quando pensiamo o parliamo del tempo come se fosse denaro (“in questo rapporto ho investito gli anni più belli della mia vita”, “mi ha rubato minuti preziosi”, “un’intera giornata è andata in fumo“, ecc.) tendiamo a strutturalo, percepirlo e viverlo esattamente in questi termini, ovvero come qualcosa che può essere speso, investito più o meno saggiamente, dissipato, sottratto.

L’analogia viene resa letterale nella nostra esperienza, tanto che in alcune situazioni anche non direttamente legate a una produttività economica ci sentiamo realmente derubati del nostro tempo e ne pretendiamo il risarcimento, o veniamo assaliti dalla frustrazione e dal rimpianto quando abbiamo la sensazione di averlo sprecato.

Utilizzando un’altra metafora potremmo mettere in luce sfumature diverse del modo in cui è possibile vivere il tempo? Decisamente sì. Pensiamo ad esempio a come ci sentiamo quando ci immergiamo in alcuni tipi di meditazione2, dove spesso si invita a fare esperienza del tempo come qualcosa che scorre: come se fosse una corrente che non si può fermare o gestire a proprio piacimento, ma da cui lasciarsi trasportare quietamente imparando, al limite, a governare le proprie vele nel momento presente.

I “come se” che scegliamo per parlare non solo del tempo ma di ciò che più ci sta a cuore diventano parte della nostra esperienza: scegliamoli con cura, perché davvero come dicono Lakoff e Johnosn noi viviamo attraverso le metafore.

Come parliamo, ad esempio, dell’amore? Come se fosse una guerra (“l’ho conquistata“), un oggetto personale (“è mio“), un viaggio (“siamo a un bivio“), un lavoro (“ci vuole impegno“) o magari un sacrificio (lo amo da morire“)?
Quali sono le implicazioni di ognuna di queste immagini? Quali possibilità aprono, e cosa invece non ci permettono di esplorare dell’esperienza dell’amore?
Cosa cambierebbe se, parlando di un problema di coppia, provassimo a utilizzare un altro “come se”?

1 Il libro, pubblicato nel 1980, è disponibile in italiano con il titolo “Metafora e vita quotidiana”.

2 Ad esempio la Mindfulness. pratica di consapevolezza sviluppata a partire dalla filosofia buddista (scevra dalla sua componente religiosa).

*Chiara Centomo, psicologa e psicoterapeuta. Accompagno adulti, adolescenti e coppie in percorsi di psicoterapia, di consulenza e di miglioramento personale; mi occupo inoltre di formazione, orientamento e divulgazione scientifica. I miei interessi di ricerca sono principalmente il rapporto corpo-mente e il linguaggio.
Contatti: chiaracentomo@gmail.com
Sito: http://www.chiaracentomo.com
Pagina Facebook: Chiara Centomo Psicologa Psicoterapeuta

**Le precedenti parole sono state: attesa, quasi, vulnerabilità.

 

La riscoperta delle parole #2: quasi

1 aprile 202030 marzo 20206 commenti

Schermata 2020-03-29 alle 19.14.28

frame tratto da “L’amica geniale – Storia del nuovo cognome”

Qualche settimana fa è finita la seconda stagione della serie L’amica geniale, tratta dall’omonimo romanzo – quadrilogia – della scrittrice misteriosa Elena Ferrante.
Per chi non la conosce, L’amica geniale è la storia dell’amicizia fra Elena e Lila, un’amicizia lunga una vita e che attraversa il dopoguerra italiano e arriva quasi a oggi.
La seconda stagione racconta l’adolescenza e la prima età adulta delle protagoniste, quindi il costruirsi di due percorsi di vita distanti: Elena studia, Lila si sposa sedicenne e va subito a lavorare; Elena frequenta la Normale di Pisa, Lila si ferma a Napoli, apparentemente vittima di un destino sociale già scritto.
Nonostante queste disparità, che ci potrebbero far pensare che sia Elena quella, diciamo così, di successo, non si argina la sua sensazione di sentirsi meno di Lila.
Nell’ultima puntata, c’è un monologo in cui spiega questa sua sensazione:

All’improvviso mi resi conto che tutta la mia vita era un “quasi”.
Ce l’avevo fatta? Quasi.
Mi ero strappata a Napoli e al rione? Quasi.
Avevo amiche e amici nuovi, che venivano da ambienti colti? Quasi.
Di esame in esame ero diventata una studentessa ben accolta dai professori che mi interrogavano? Quasi.
Dietro tutti quei quasi, mi sembrò di vedere come stavano le cose. Avevo ancora paura e sentivo che da qualche parte, Lila, come sempre, era senza “Quasi”.

Chi può dire di non capire Elena? Quel sentirsi insufficiente rispetto al percorso che sta facendo, e più ancora rispetto alle aspettative che aveva per sé.
E chi può dire di non comprendere quel paragone rispetto a una persona che le sembra più completa di lei?
Tante volte, in terapia, mi è capitato di sentirmi dire “mi sembra che gli altri siano più completi di me, che sappiano vivere meglio di me”. Chi può dire di non averlo mai pensato?

Allora mi chiedo: perché ci preoccupa tanto essere quasi?
A leggere quello che dice Elena, sembra che sentirsi quasi sia una colpa, rispetto al dovere di sentirsi finita. Ma perché vogliamo sentirci completi quando ancora ne abbiamo da vivere?

Quasi è una sensazione che sperimentiamo anche in questi giorni in cui ci sentiamo di vivere, quasi. E questo ci fa soffrire perché, come dicevamo parlando di attesa, non ci piace vivere in un tempo diminuito, tanto più quando questo tempo si fa e si prospetta lungo.

Allora possiamo provare a muovere il punto di vista e porci delle domande come:
in cosa mi sento quasi?
In cosa mi sta bene sentirmi quasi? In cosa lo odio?
Qual è la storia di questo mio quasi?

Potremmo scoprire che sentirci di non aver completato un percorso – metaforico o concreto che sia – ci può aprire la possibilità di proseguire, oppure di cambiare, anche se ci sembra difficile, o addirittura impossibile.
Potremmo scoprire, come sarà per Elena, che sentirci quasi ci può portare ad avere meno punti assoluti, magari più paura, ma anche più tenacia per dare forma alle nostre strade e relazioni, per quanto in costruzione, per quanto quasi.

Alessandro Busi

*La prima parola della rubrica “La riscoperta delle parole” la trovate qui: attesa.

Si può fare psicoterapia online?

13 marzo 202012 marzo 20202 commenti

person-holding-black-pen-while-using-laptop-3787317

In questi giorni stiamo vivendo molte sfide che riguardano il nostro modo di vivere:

La mia libertà individuale ha dei limiti?
Le mie scelte hanno una ricaduta sociale ampia?
Cosa mi resta da scegliere quando sono dentro dei vincoli più stretti del solito?

Queste sono solo alcune delle domande che ci stanno venendo incontro, talvolta in modo minaccioso, perché riguardano i nostri significati più profondi, quindi vanno a modificare le abitudini che davamo per scontate, quelle che pensavamo non sarebbero cambiate mai.

Nel mondo della psicoterapia, una questione grande e concreta che si sta ponendo è quella di effettuare i percorsi online perché è un cambiamento rispetto al solito, perché per alcune persone è un cambiamento difficile da costruire.

Personalmente conduco da sempre anche terapie online, per le persone che scelgono questa modalità, o ancora per chi è lontano da Padova e Mestrino, ma oggi la questione si allarga a tutti, quindi provo a rispondere ad alcuni dubbi comuni* sulla psicoterapia online.

Si può fare psicoterapia online?
Sì, perché si tratta di fare lo stesso percorso con delle caratteristiche nuove. Come la stanza della terapia, i colori delle pareti, le immagini appese, la presenza di libri o meno… entrano in gioco nel nostro modo di vivere la terapia, così l’incontro online porterà con sé vissuti diversi. Questi, come quelli di prima, parleranno di noi, delle nostre esperienze, del nostro modo di vedere il mondo, quindi sono materiale utile proprio per la psicoterapia.

Ma online non è più finta?
Anni fa condussi un seminario dal titolo Virtuale e/è reale. Esploravo come la divisione fra virtuale e reale cada nel momento in cui pensiamo alle nostre emozioni, sensazioni, desideri. In questi anni di lavoro sul campo, nell’ambito del cyberbullismo, per esempio, ho potuto vedere con ancora maggiore chiarezza che quello che viviamo online è reale, perché la sofferenza di una persona di fronte alle offese online, lo è; così come lo è la gioia di quando riceviamo dei like (uno studio che lessi qualche tempo fa, riscontrava le stesse reazioni neurologiche di quando ci vengono fatti dei complimenti di persona).
Quindi, tornando a noi, la terapia online è vera come sono veri i nostri i vissuti che proviamo; l’incontro telematico è una diversa porta per entrare nel nostro mondo personale.

L’efficacia è la stessa?
Sì, perché una terapia è efficace quando si costruisce una relazione utile fra terapeuta e paziente. Costruire una relazione usando uno strumento telematico porta con sé la stessa sfida di comprensione che c’è anche negli incontri in studio. Certo, è diverso, ma diverso non vuol dire diminuito; vuol dire che, come dicevo prima, apre porte nuove.

E la privacy?
Qui ci sono tre livelli:
– le piattaforme di videochiamata garantiscono la privacy delle comunicazioni che avvengono al loro interno. Se ci pensiamo, sarebbe a dir poco controproducente per loro non garantirlo. Vorrebbe dire non avere più utenti;
– il terapeuta sceglie anche per le terapie online un luogo che garantisce il mantenimento del segreto professionale delle comunicazioni;
– il paziente potrà scegliere di svolgere questi colloqui in un posto nel quale si sente sicuro e libero per parlare. Questo per qualcuno è facile, per altri è una sfida, che ha a che vedere con le proprie relazioni, quindi diventa, nuovamente, materiale utile proprio per la psicoterapia (es. Come faccio a chiedere a mio/a marito/moglie/compagno/compagna di rispettare i miei spazi?)

Come funziona concretamente?
Funziona in modo molto simile agli appuntamenti in studio: si concordano l’ora dell’appuntamento e la piattaforma che si userà e si effettua il colloquio che dura i canonici 50 minuti. La spesa rimane detraibile come spesa sanitaria.

Tirando le fila:
la psicoterapia è in primis relazione e la relazione può essere diversa, ma non si può cancellare, quindi, terapia online e di persona sono due modi diversi di stare assieme, ognuno con le proprie specificità e significati, quindi, ognuno che porta con sé dei vissuti utili da esplorare. Una non è più vera dell’altra, o più efficace, perché vero ed efficace è l’incontro fra due persone, che sia dal vivo, che sia online.

Lo dicevo all’inizio: tutti stiamo vivendo un momento di ridefinizione delle nostre abitudini e modi di stare assieme, quindi, anche la psicoterapia non poteva esserne esente. Questo di certo ci mette in difficoltà, ma ci apre anche alla possibilità creativa di cambiare.

* Queste sono le domande più comuni che in questi anni mi sono state poste, ma immagino che altre ce ne siano, quindi, chi avesse dubbi o curiosità mi può contattare al 3275389290 oppure via mail a alessandrobusi.psy@gmail.com oppure ancora sulla mia pagina di Guidapsicologi.

Alessandro Busi
Psicoterapeuta a Padova, Mestrino e su Skype

La vita in relazione: DPCM 8 marzo, psicoterapia e responsabilità [EDIT 12 marzo]

9 marzo 202017 marzo 20201 commento

88291695_1857971377669907_7545397304367251456_n

Stiamo vivendo un momento difficile, in cui ognuno di noi fatica a capire come ci si deve comportare, cosa è necessario fare, cosa si può evitare. Le informazioni che ci arrivano sono tante e spesso minacciano le nostre abitudini e aspettative verso il futuro. Questo dà preoccupazione, ansia: desiderio a volte di esagerare, altre volte di far finta che non stia succedendo nulla.
È comprensibile, di fronte alla paura forte spesso reagiamo così. Ma possiamo anche provare a fare qualcosa di diverso.
Fermiamoci un momento e pensiamo a quello che ci sta succedendo.
L’emergenza sanitaria è qualcosa che nessuno si poteva aspettare, che spaventa, e che ci impone di ripensare in parte alle nostre azioni abituali, quantomeno per un periodo.
Ma noi non siamo abituati ad avere delle limitazioni, tanto meno alla nostra libertà di movimento. Eppure ci sono situazioni in cui è necessario pensare alla salute di tutti: ricordarci che, anche quando siamo soli, siamo sempre inseriti nelle maglie delle relazioni.
Questo può essere limitante, è innegabile, ma che altro può essere?
Ogni nuovo vincolo ci impone di pensare a nuove possibilità, ci impone di chiederci

Cosa posso fare dentro questi nuovi vincoli?
A cosa posso rinunciare ora per rinunciare meno in futuro?
Come posso stare assieme agli altri in modo diverso?

E quindi di ricordarci che, se siamo responsabili delle nostre azioni, vuol dire anche che abbiamo libertà di scelta.

Questo vale per tutto, perciò vale anche per la psicoterapia. Siccome la situazione è delicata, divido tre punti importanti, nella speranza di essere chiaro:

  • con il DPCM – Decreto delPresidente del Consiglio dei Ministri – dell’8 marzo e con l’aggiornamento del 9 marzo e quello ulteriore del 12 marzo è ancora possibile svolgere la psicoterapia individuale e di coppia via Skype e anche nei miei studi di Padova, Mestrino – grazie al fatto che entrambi gli studi permettono di garantire le norme igienico sanitarie suggerite dall’Istituto superiore della Sanità;
  • nel decreto i divieti assoluti di movimento riguardano chi sta male*, e proprio per questo è richiesto a tutti di assumersi la responsabilità di ridurre al minimo gli spostamenti solo per ragioni di lavoro, sanitarie (fra cui rientra la psicoterapia) ed emergenze. Seguendo quel principio di responsabilità personale e sociale che dicevo prima, con tutti i miei pazienti valuteremo di effettuare i colloqui su Skype. Solo in casi di necessità, li svolgeremo di persona. In questo secondo caso, chi verrà in studio dovrà produrre un’autocertificazione in cui dichiara le ragioni del proprio viaggio (qui la nota del Ministero degli Interni) da esibire in caso di controlli. Sarà possibile anche rilasciare un certificato con data e ora del colloquio da poter esibire in allegato;
  • Con le stesse attenzioni alla responsabilità, ci muoveremo anche con chi vuole iniziare un nuovo percorso. La via privilegiata sarà la terapia via Skype, mentre gli incontri di persona a Padova e Mestrino saranno per queste due settimane marginali. Chi desidera fissare un primo colloquio o volesse chiedere informazioni mi può contattare al 3275389290, via email alessandrobusi.psy@gmail.com, oppure tramite il mio account di Guidapsicologi.

Proviamo a rendere questa situazione meno scomoda e duratura possibile: ci vuole un po’ di impegno da parte di tutti e ricordarci che una cosa che contraddistingue noi esseri umani è la capacità di cambiare per far fronte alle avversità. E proprio questo è quello che si fa in psicoterapia: costruire strade nuove per vivere diversamente anche le situazioni più difficili; riscoprirci liberi di scegliere.

Alessandro Busi
psicoterapeuta a Padova, Mestrino e via Skype

* Chi dovesse sentire anche lievi sintomi riconducibili all’influenza, quindi simili a quelli del Covid-19, oppure riconducibili a quelli del Coronavirus, oltre a contattare telefonicamente il proprio medico di base e i numeri dedicati, è invece tenuto a restare in casa. In questo caso, sarà possibile continuare i percorsi di psicoterapia via Skype, garantendo quindi un sostegno anche in una situazione non certo facile.

NB: con il procedere delle novità, aggiornerò il post in modo da rendere le informazioni più complete possibili.

CONTATTI

3275389290 alessandrobusi.psy@gmail.com

Padova

Via Altinate 128, 35121, Padova

Online

Su Skype 

Alessandro Busi Psicoterapeuta Padova

Alessandro Busi Psicoterapeuta Padova
Dott. Alessandro Busi psicologo-psicoterapeuta

Articoli recenti

  • Finire e cambiare: guardando al tempo con gli occhi dei camaleonti.
  • Quando il gatto non c’è?
  • La riscoperta delle parole #12: Storia
  • Se ci deludessimo…
  • Viktor Frankl, Uno psicologo nei lager

Commenti recenti

La riscoperta delle… su La riscoperta delle parole #8:…
La riscoperta delle… su La riscoperta delle parole #7:…
La riscoperta delle… su La riscoperta delle parole #6:…
La riscoperta delle… su La riscoperta delle parole #5:…
La riscoperta delle… su La riscoperta delle parole #4:…

Archivi

  • dicembre 2022
  • luglio 2022
  • marzo 2021
  • febbraio 2021
  • gennaio 2021
  • dicembre 2020
  • novembre 2020
  • ottobre 2020
  • settembre 2020
  • luglio 2020
  • giugno 2020
  • Maggio 2020
  • aprile 2020
  • marzo 2020
  • febbraio 2020
  • gennaio 2020
  • novembre 2019
  • ottobre 2019
  • agosto 2019
  • giugno 2019
  • dicembre 2018
  • ottobre 2018
  • settembre 2018
  • febbraio 2018
  • ottobre 2017
  • settembre 2017
  • marzo 2017
  • gennaio 2017
  • dicembre 2016
  • settembre 2016
  • febbraio 2016
  • gennaio 2016

Categorie

  • blog di psicologia
  • spunti di riflessione

Meta

  • Registrati
  • Accedi
  • Flusso di pubblicazione
  • Feed dei commenti
  • WordPress.com

Articoli recenti

  • Finire e cambiare: guardando al tempo con gli occhi dei camaleonti.
  • Quando il gatto non c’è?
  • La riscoperta delle parole #12: Storia
  • Se ci deludessimo…
  • Viktor Frankl, Uno psicologo nei lager

Termini d’uso e privacy

  • TERMINI D’USO E PRIVACY
Blog su WordPress.com.
  • Segui Siti che segui
    • Alessandro Busi Psicoterapeuta Padova
    • Hai già un account WordPress.com? Accedi ora.
    • Alessandro Busi Psicoterapeuta Padova
    • Personalizza
    • Segui Siti che segui
    • Registrati
    • Accedi
    • Segnala questo contenuto
    • Visualizza il sito nel Reader
    • Gestisci gli abbonamenti
    • Riduci la barra
 

Caricamento commenti...
 

    Privacy e cookie: Questo sito utilizza cookie. Continuando a utilizzare questo sito web, si accetta l’utilizzo dei cookie.
    Per ulteriori informazioni, anche sul controllo dei cookie, leggi qui: Informativa sui cookie