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Alessandro Busi Psicoterapeuta Padova

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Attacchi di panico: in che altri modi posso essere?

23 febbraio 201618 marzo 2020
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Illustrazione di Shout

Mario* ha 42 anni. Ha una moglie di due anni più giovane e due figli: una ragazza di 12 anni e un bambino di 7.

Da dieci anni fa l’informatore farmaceutico, quindi, le sue settimane scorrono fra uno studio medico e l’altro, sempre alla guida dell’auto.

Il sabato e la domenica gli piace fare passeggiate sui colli con la famiglia, gli piace guardare Quelli che il calcio…, gli piace addormentarsi sul divano con sua moglie.

Questa è la sua quotidianità, questa è la sua vita: la settimana di corsa e il fine-settimana a rilassarsi.

Il primo episodio fu nella sala d’attesa di uno studio medico. Seduto di fronte alla segretaria, sentì la sudorazione aumentare, il corpo farsi caldo e il battito del cuore velocizzarsi.

“Che mi sta succedendo?”, pensò, prima di uscire in strada, sedersi in auto, chiudere gli occhi e dare un ritmo al respiro.

Bastarono pochi minuti per tranquillizzarsi. Diede la colpa al lavoro, alla crisi, al suo capo che gli aveva aggiunto delle zone da coprire. Per non dare preoccupazioni, non ne parò con nessuno.

Altri episodi seguirono il primo e, ogni volta, i minuti per far cessare quel malessere aumentavano. Cinque, dieci, quindici, fino a doversi allontanare dal lavoro.

“C’è qualcosa che non va al cuore”, pensò e per questo lo disse a sua moglie, con cui decisero di fare qualche controllo medico. Gli esami diedero tutti esito negativo: nessun problema fisico poteva giustificare quei suoi malesseri.

L’episodio più grave capitò durante una passeggiata con la famiglia sui colli. Mario si sedette su una roccia, accovacciato, con il cuore che gli scoppiava sotto lo sterno. Guardava a terra per non incrociare lo sguardo preoccupato dei figli, ma sentiva che il più piccolo singhiozzava. La moglie provava a chiamare un’ambulanza, ma non c’era campo.

“Sto morendo” pensava, sentendo il fiato farsi sempre più corto.

Dopo più di mezz’ora, riuscì a rialzarsi in piedi e, sostenuto dalla moglie, arrivò all’auto. Nel tragitto verso casa, nessuno parlava e, al posto di guida, per la prima volta da quando stavano assieme, si sedette lei.

Mario guardava fuori dal finestrino. Era sudato e sfinito, ma più di tutto, sentiva che qualcosa gli stava sfuggendo nella sua vita. Aveva voglia di piangere, di farsi abbracciare, ma sentiva che non poteva, perché “Mario” non è così. Mario non ha bisogno di niente. Mario è forte. Mario è una roccia.

“Che mi sta succedendo?”, si ripeteva.

Mario iniziò una psicoterapia molto titubante, più che altro per far contenta la moglie.

Nei primi colloqui esplorò la sua storia. Dentro di sé sperava che il terapeuta gli desse delle risposte per farlo “tornare apposto”. Nonostante queste risposte non arrivassero, continuò perché gli attacchi si erano ridotti fino a scomparire.

Proseguendo, iniziò a pensare che quegli attacchi di panico erano il suo modo per comunicare, per chiedere aiuto, per chiedere di cambiare, tutte cose che per lui erano altrimenti impossibili da dire. E si chiese:

In che altri modi posso essere?

Mario scoprì, non senza difficoltà, che nella vita poteva essere una roccia, ma anche altro; che con i figli, la moglie, al lavoro, non era obbligato ad avere solo un modo d’essere. Sperimentò che poteva chiedere aiuto e questo gli permise di pensarsi forte in maniera diversa, nuova. Non doveva sempre essere lui a tenere in mano il volante, pensò.

Attraverso il percorso terapeutico Mario non eliminò tutti i problemi dalla sua vita, ma indossò altri vestiti per essere se stesso, scoprendo quindi altri modi di affrontare le cose e di stare assieme agli altri. Attraverso il percorso terapeutico Mario scoprì che i posti in auto sono più di uno e che, a modo proprio, poteva scegliere dove sedersi.

Dr. Alessandro Busi
Mestrino, Padova e su Skype

*I personaggi e le vicende raccontate sono frutto di invenzione dell’autore. Ogni riferimento a fatti realmente accaduti e persone realmente esistenti è puramente casuale.

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