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Alessandro Busi Psicoterapeuta Padova

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Tag: biografia

La riscoperta delle parole #12: Storia

14 marzo 202112 marzo 2021

In questi mesi mi è successo di ascoltare alcuni podcast dello storico Alessandro Barbero.
Il modo che usa per avvicinarci agli eventi storici è quello di focalizzarsi sul senso che aveva per le persone dell’epoca comportarsi in quello specifico modo. È una precisazione che fa spesso: non pretendete di guardare con gli occhi di oggi gli eventi e le persone del passato, se li si volete capire.
Perché Cavour spinse tanto per l’Unità d’Italia? Perché i soldati italiani accettarono di combattere a Caporetto? Perché scoppiò la rivoluzione francese?
Se vogliamo capirli dobbiamo provare a metterci nei desideri di Cavour, nelle aspettative dei soldati sul fronte della Grande Guerra, nella visione del mondo e della società che c’era in Francia alla fine del ‘700.

***

Una sensazione che molte persone raccontano in psicoterapia è questa: la paura di aver sprecato il proprio tempo, di non aver scelto quello che volevano ma, talvolta quello che dovevano, talvolta quello che la vita faceva capitare loro sotto i piedi.
Questa sensazione porta con sé un rosario di altre sensazioni che vanno dall’incolparsi, al sentire il peso del tempo che passa, al pensare di aver sbagliato, o peggio ancora di avere qualcosa di intrinsecamente sbagliato: perché tutti gli altri sono capaci di vivere e io no?
Questa visione apre purtroppo a uno scenario difficile da scardinare, perché è lo scenario nel quale sentiamo di non avere la possibilità di incidere in prima persona in quello che sembra essere un destino già scritto.

Un’altra sensazione ricorrente in terapia è però anche lo stupore; lo stupore di prendersi del tempo per chiedersi: ma io, questa vita, come l’ho costruita?
Lo stupore, a volte piacevole e a volte doloroso, di guardare al proprio tempo, alle emozioni provate, ai bivi di fronte ai quali ci si è trovati, e ridare senso alle scelte fatte, che magari non erano quelle più desiderate, ma di certo erano quelle più sensate in quel momento.
In questo modo, infatti, possiamo scoprire che non abbiamo vissuto la vita dei sogni, ma quella che, dentro tutte le asperità che ci sono toccate, ci siamo conquistati. Le occasioni sprecate potrebbero iniziare ad avere un senso, e così il tempo lasciato andare, le scelte che ci apparivano così sbagliate.
Allo stesso modo possiamo capire anche quello che ci sentiamo di fare e di non fare oggi, quello che vogliamo e quello che ancora ci fa troppa paura; e da lì immaginare strade alternative e aprirci, se e come ce la sentiamo, a nuove possibilità.
Perché, se per comprendere la peste del ‘300, come dice Barbero, dobbiamo entrare negli occhi di chi viveva all’epoca, come possiamo pretendere di capire la nostra vita senza dare valore alla nostra storia?

Alessandro Busi
psicologo e psicoterapeuta
a Padova, Mestrino e su Skype

Le precedenti parole riscoperte sono: attesa, quasi, vulnerabilità, come se, relazione, virtuale, anche, compromesso, concretezza, crisi e paura.

La riscoperta delle parole #11: paura

11 novembre 202010 novembre 2020
Questo è un particolare della copertina di Febbre di Jonathan Bazzi. L’illustrazione è di Elisa Seitzinger.

Nelle ultime settimane ho letto il libro dello scrittore Jonathan Bazzi: Febbre.
In Febbre l’autore racconta se stesso in relazione a un centro di gravità, la sua diagnosi di sieropositività, perché notizie come questa sembrano assorbire per intero la biografia di una persona.
Nelle pagine come nella vita, però, ci sono tante storie che si intrecciano, che raccontano l’esistenza in modo più ampio di un solo evento, per quanto rilevante. 
Così scopriamo la sua famiglia, il posto dove è cresciuto, Rozzano, i suoi studi, le sue relazioni… O meglio, scopriamo il suo vissuto di tutto questo, che ci riporta dentro il continuo tentativo di trovare un equilibrio fra gli ostacoli, le opportunità, le sfide del mondo e il desiderio di poter scegliere da sé.
La diagnosi di sieropositività è proprio l’evento che esacerba quella tensione fra scelta e mondo, perché è lì che il peso dell’incontrollabile si fa più denso, fino a essere insopportabile. Jonathan nel libro inizia infatti ad avere sintomi a cui fatica a dare senso, il suo corpo sembra andare fuori fase e assieme a esso il futuro, che perde man mano tasselli di prevedibilità.

“Come potrò vivere sapendo di avercelo nel corpo?” 

Così, più tenta di rassicurare tutti (“Sì, vabbè, ma non ti preoccupare. Oggi non è più come una volta – frase di rito -, basta curarsi”), più prova a evitare la propria paura (“Ma è una comprensione piatta, superficiale. Una patina che non riesce a nascondermi la vista dello strapiombo”), più il terrore prende spazio e divora la possibilità di continuare a immaginare, possibilità che si sgretola in un continuo singhiozzo fra una visita e l’altra, fra un’incertezza e l’altra.

In altri termini, il protagonista sembra vivere non solo la minaccia esterna verso il proprio corpo, ma il timore di essere precipitato dentro un cambiamento così grande che la propria mente sappia concepirne la portata. Come dice:

“Ogni cosa che viene dall’esterno è risolvibile, la si può scansare, attraversare. Ma se è la mente stessa a diventare ostile, dove te ne vai? Cosa affronti, dove ti sposti?”

***

Il futuro difficile da immaginare, la paura della paura stessa, il nostro sistema di significati che sembra aver perso la capacità di guardare oltre l’oggi.
Sono convinto che queste siano alcune delle sensazioni che molti stanno vivendo in questo periodo di pandemia.
C’è chi vi fa fronte negando l’esistenza della pandemia stessa, e così si sente di tornare in potere. C’è chi vi fa fronte seguendo come traccia il terrore, diventando, come si dice, più realista del re, nella speranza che questo dia respiro al desiderio di controllo. E poi ancora c’è chi insegue i dati sempre più numerosi, sempre più precisi, ma per paradosso sempre più caotici; oppure chi si arrabbia nei social media, perché preferisce mostrarsi arrabbiato piuttosto che impaurito.
Ognuno, con i propri eccessi ed errori, sta tentando di trovare un modo personale di stare dentro questa situazione, e spesso anche di evitarne la portata paurosa.

Ma cosa ci spaventa tanto della paura?

Innanzitutto possiamo dire una banalità: la paura fa paura, altrimenti non sarebbe paura. Quindi puliamo il campo da tutte quelle formule tipo “con la paura bisogna…”, perché, se bastasse dirci un “bisogna”, se fosse così facile, non staremmo, appunto, parlando di paura.

Al netto di questo, però: cosa ci spaventa tanto della paura?

Io credo che la paura ci sia così insopportabile per varie ragioni.
Credo che spesso colleghiamo la paura alla debolezza e altrettanto spesso vogliamo evitare di dirci deboli, per questo cerchiamo espressioni pubbliche, ma anche private, che sappiano celare la nostra paura, che si trasforma quindi anche in vergogna.
E attenzione, non parlo di machismo, ma proprio della paura di sentirsi vittime di un caos che fa traballare i puntelli che negli anni abbiamo messo alla nostra casa.
Ma evitando la paura, proprio perché è nostra e non del mondo di fuori, perché gli eventi spaventano ma il modo di vivere la paura ci appartiene, questa non se ne va, piuttosto assume nuove forme: sintomi fisici, terrore, il desiderio sempre più forte e frustrato di controllarla.

Riprendendo il libro di Bazzi, senza raccontare troppo, la situazione si sblocca proprio nel momento in cui il protagonista arriva a guardare in faccia le cose, a inserire la diagnosi, con tutta la sua portata emotiva, dentro la sua vita, rendendola non lo snodo ma uno degli snodi che lo rendono la persona che è oggi. È così che può riprendere a generare compromessi possibili per la sua vita futura. In altri termini, il protagonista si dà la possibilità di mettere le basi a un futuro che senta proprio, in cui paura e malattia ci sono, ma non lo tengono in ostaggio.

Questo è quello che spesso sento che facciamo in psicoterapia: ridare senso a ciò che viviamo e abbiamo vissuto, per quanto doloroso, per quanto indesiderabile, così da costruire nuove strade, nuovi compromessi, nuove relazioni.
E forse per questo, per il periodo che stiamo vivendo, per rimettere assieme biografia ed eventi esterni, potremmo iniziare a ripensare il nostro rapporto con la paura, non più sintomo di debolezza, ma presenza che ci tocca avere con noi per dare corpo al futuro, in un continuo negoziare fra desideri, possibilità e paure.

Alessandro Busi
psicologo e psicoterapeuta
a Padova, Mestrino e su Skype

Le precedenti parole riscoperte sono: attesa, quasi, vulnerabilità, come se, relazione, virtuale, anche, compromesso, concretezza e crisi.

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