
Guardando i documentari molti restano abbagliati dalla natura: la perfezione dei collegamenti neuronali, delle articolazioni del ghepardo, dell’esca luminescente del melanoceto…
Non è incredibile che tutto si incastri così bene? Sì, ma è perfetto?
L’idea di Telmo Pievani, autore di Imperfezione. Una storia naturale, è che la natura non sia perfetta, ma sia espressione di uno dei percorsi possibili, frutto di continui aggiustamenti, ridefinizioni, errori, messe in discussione e rifondazioni. Per questo, la metafora che lui propone è quella della natura come artigiano, che non insegue la perfezione, ma fa quello che può, con i materiali e le capacità che ha.
Prendiamo la giraffa. Non è affascinante? Certo, ma è perfetta?
“Nella giraffa il nervo laringeo ricorrente, che è cruciale essendo coinvolto nella deglutizione e nelle vocalizzazioni, anziché andare direttamente dal cervello alla laringe come qualsiasi ingegnere lo disegnerebbe, fa un percorso lunghissimo. Sfiora la laringe (la sua meta) ma non si ferma, scende lungo tutto il collo seguendo il nervo vago, passa sotto l’aorta dorsale vicino al cuore e risale di nuovo lungo tutto il collo fino alla laringe dopo aver percorso quasi quattro metri! Non ha alcun senso. È un maldestro compromesso tra il più recente allungamento del collo per selezione naturale e il più antico retaggio della conformazione del nervo vago dei pesci.”
[T. Pievani “Imperfezione. Una storia naturale”, Raffaello Cortina editore]
Ecco quindi la parola che voglio riscoprire oggi: compromesso.
Nonostante il compromesso caratterizzi la storia dell’evoluzione – piena di sfide e di coraggio nell’affrontarle; piena di organi creati, abbandonati e poi riutilizzati; piena di prove ed errori – è una parola a cui abbiamo dato una connotazione negativa: non per niente diciamo scendere a compromessi, mica salire a compromessi.
Non per niente, i compromessi a cui siamo giunti nelle nostre vite, portano per molti con sé dolore, rimpianto, rassegnazione; tutte emozioni che possono aprire alla sensazione di avere di fronte a sé un futuro già scritto e immodificabile.
Spesso è qui che si innesta la scelta di iniziare una psicoterapia: nel desiderio di riprendere in mano le cose, di ricominciare, o cominciare a scrivere una storia che sentiamo appartenerci.
Spesso è qui che ci troviamo a lavorare: nella ricerca di senso di quello che c’è stato, di quello che c’è e nella costruzione di nuove strade possibili.
In qualche misura, quello che paziente e terapeuta si trovano a fare è ridare valore a tutti i compromessi che il paziente ha saputo costruire nella propria vita, talvolta accettando di più, talvolta rendendosi più propositivo, ma comunque facendo quello che sentiva di poter fare (come la natura secondo Pievani).
Immaginando quindi che la giraffa di prima inizi una psicoterapia; immaginando che soffra, si vergogni dell’imperfezione del suo nervo laringeo, della lunghezza del suo collo e quindi del suo corpo; immaginando che questo la faccia sentire vittima di un destino beffardo; nel lavoro assieme al suo terapeuta potrebbe ricostruire la storia di quel suo collo, riscrivere tutte le cose che ha saputo fare grazie a lui, nonostante lui e a prescindere da lui, e da lì potrebbe quindi chiedersi: ok, il mio collo me lo tengo, ma da qui, cosa posso e voglio fare di nuovo?
Alessandro Busi
psicologo e psicoterapeuta
a Padova, Mestrino e su Skype