La riscoperta delle parole #3: vulnerabilità (di Francesca del Rizzo)

Fin da subito ho immaginato “La riscoperta delle parole*” come una rubrica corale, che potesse ospitare anche contributi di colleghe e colleghi, e non solo, perché ripensare il vocabolario (un po’ di vocabolario) non può che essere un lavoro collettivo.

Sono molto felice oggi di avere come prima ospite Francesca del Rizzo – psicologa psicoterapeuta e didatta dell’Institute of Constructivist Psychology di Padova. Si occupa di psicoterapia e didattica della psicoterapia, psicologia dello sport e di psicoterapia e outdoortraining a mezzo del cavallo. Alcuni suoi articoli si possono leggere nelle pagine della Rivista Italiana di Costruttivismo.

In questo periodo Francesca sta condividendo nel proprio account Facebook le sue “strategie di sopravvivenza ai tempi del covid-19“: testi più o meno brevi con i quali esplora lo spazio emotivo, relazionale, personale che emerge in questi giorni. Così ha parlato di fastidio verso la sicumera e del desiderio di capire, di fiducia e di coraggio, di resilienza, di paura, e ha ridefinito il suo prendersi cura di sé.
La parola di oggi è la sua “strategia di sopravvivenza ai tempi del covid-19 n.5”, ed è forse una delle più importanti con cui stiamo avendo a che fare: vulnerabilità.

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Questa è l’immagine che Francesca del Rizzo ha accompagnato al post originale

Ho fatto un brutto sogno l’altra notte, anzi no, usiamo bene le parole, ho fatto proprio un incubo, l’altra notte.
Non lo ricordo completamente ma conservo nella memoria l’immagine che ha preceduto il risveglio. So che c’era altro prima – ho la sensazione di una storia articolata – ma quello che non ho dimenticato è la visione di ciò che vedevo dall’alto di un grattacielo di New York in cui avevo finito per trovarmi. Sotto di me, in lontananza, vedevo crollare su se stesso un intero isolato di edifici. E poi mi sono svegliata, in preda ad una forte angoscia e con la sensazione di essere circondata da qualcuno/qualcosa di pericolosissimo. Ho aperto bene gli occhi a guardare attorno a me e ho teso le orecchie per sentire se ci fosse qualcuno in casa. Il cuore mi scoppiava in petto, il respiro era affannoso e per calmarmi mi sono proprio dovuta dire che non c’era nessuno lì.

La parola che mi è rimasta in mente, dopo, e per tutta la giornata di ieri, è stata vulnerabilità. Il mio sogno, ma soprattutto l’intensa emozione che lo ha accompagnato, mi hanno messo di fronte al mio stesso sentirmi vulnerabile in questo momento. Vulnerabile come si è sentito il mondo dopo l’11 settembre, vulnerabile come ci si sente quando qualcuno ti entra in casa nel cuore della notte.

Non è decisamente una bella sensazione, non ci piace proprio. Ad essa reagiamo spesso scompostamente ed impulsivamente, attaccando nemici potenziali e presunti, inventandoli, quando non ce ne sono, per poter percepire di avere ripreso il controllo della situazione (sull’uso della metafora della guerra in tempo di Covid-19 vedi il bellissimo articolo di Daniele Cassandro su Internazionale). E possiamo arrivare a costruire intere teorie in cui ci vediamo vittime di macchinazioni e complotti orditi malvagiamente alle nostre spalle.

Bene, io al risveglio ho verificato che nemici non ce n’erano. Poi, nel corso della giornata, ho pensato che ciò che ci rende vulnerabili non è la presenza di un nemico, ma la nostra fragilità. Una fragilità che è proprio nostra, fa parte del nostro essere umani. È stata il carburante per la nostra inventiva, creatività, ingegnosità, ma soprattutto è la condizione in cui nasciamo, piccoli, inermi, bisognosi di tutto, figli e riceventi molto prima di essere in grado ricambiare, ma fin da subito attivi nelle relazioni che ci nutrono. Siamo (anche) fragili e quindi solidali, vicini, interdipendenti.

La voglio mettere nel mio zaino questa doppia consapevolezza/sensazione di fragilità e vulnerabilità, perché è anche da lì che parto, dalla chiara coscienza che non è un viaggio, questo (della Covid-19 e della vita), che si possa fare da soli.

Francesca Del Rizzo

* Le precedenti parole sono qui: attesa e quasi.