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Alessandro Busi Psicoterapeuta Padova

Ogni vita merita un romanzo

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Tag: internet

Fare la psicoterapia nella fase 2

18 Maggio 202016 Maggio 2020

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Il tempo è una cosa strana: c’è e non c’è, si fa sentire ma proviamo a ignorarlo.
Sarà per questo, per dare corpo a qualcosa che corpo non ce l’ha, che tendiamo a suddividere quel flusso continuo?
Perché con il tempo raccontiamo come eravamo, come siamo e come saremo, trovando differenze e somiglianze, quindi abbiamo bisogno di qualcosa che faccia da unità di misura dei nostri cambiamenti – giornate, anni, età, fasi della vita, epoche storiche…

Anche questa pandemia la stiamo raccontando per fasi.
Ci sono state state la fase del pericolo lontano, poi quella della sottovalutazione, poi quella dell’emergenza, poi quella del lockdown, la cosiddetta fase 1, e ora siamo sempre di più dentro la fase 2, che potremmo chiamare fase della discrezionalità e della costruzione del futuro.
Nella fase 1 eravamo in una situazione di attesa e la risposta a molte domande era “no”, oggi siamo in una fase potenzialmente lunga e in cambiamento, nella quale, alle domande, si risponde con “dipende”, “pensaci”, “valuta”.
Questo, dandoci molta più libertà, ci mette di fronte alle nostre scelte e ai nostri timori, che non possono più stare nascosti nelle mura del divieto; ma diventano responsabilità personale e collettiva.
Ma d’altro canto, c’è altro modo per costruire un futuro a lungo termine?

Anche nella psicoterapia emergono nuove domande – Cosa desidero? Di cosa ho paura? Cosa mi sento di fare? Cosa penseranno gli altri di me? Cosa dovrei fare? – che riguardano sì la vita da costruire dentro i nuovi vincoli, ma anche le nostre paure più personali e di vecchia data: la paura di sbagliare, la paura del giudizio, la paura di non essere all’altezza…
Perciò ansia, desiderio di rinchiudersi, desiderio di sottovalutare, di fingere che tutta la situazione non sia vera; ma anche la possibilità di chiederci: cosa vorrei tenere di questo periodo nel mio futuro? Cosa dicono di me queste nuove paure? Come posso fare?
Magari scopriamo che questa situazione sta facendo emergere vissuti che già ci appartenevano e che ora non possiamo più sopire; ma potremmo scoprire anche che la nuova scansione delle giornate non la vogliamo buttare, oppure che le relazioni hanno un valore diverso rispetto a quello che avevamo dato loro fino a due mesi fa. E quindi di nuovo, come possiamo fare per tenerci strette queste nuove consapevolezze e renderle concrete nel futuro?

Come possiamo fare? è la domanda che mi sono posto anche io quando ho deciso che avrei gradualmente ripreso a fare i colloqui anche negli studi di Mestrino e Padova e mi sono risposto due cose:
– primo, che rimane la possibilità, per chiunque lo desideri, di effettuare la psicoterapia via Skype. Questa scelta nasce, da un lato dalle ragioni sanitarie per le quali qualcuno potrebbe preferire non venire in studio, dall’altro perché, in queste settimane più ancora di prima, mi sono reso conto che la psicoterapia via Skype non è una psicoterapia inferiore, ma una delle possibilità che oggi abbiamo di stare nella relazione clinica, possibilità che porta con sé vissuti, significati, emozioni che permettono un lavoro intenso e personale;
– secondo, che, proprio perché il lavoro di psicoterapia è personale, se per qualcuno la terapia online è percorribile, per altri non lo è, quindi, seguendo le indicazioni dell’Ordine degli psicologi del Veneto, ho ritenuto fosse importante riprendere le attività anche di persona nei modi più sicuri possibile:

  • poltrone a distanza di almeno 2 metri;
  • obbligo di indossare la mascherina;
  • gel igienizzante in studio da usare all’arrivo e prima di uscire;
  • pulizia delle superfici e ricambio di aria fra un colloquio e l’altro.

Tutto questo per me significa novità, che nasce dal compromesso fra le vecchie abitudini e le nuove condizioni, perché, proprio come abbiamo sempre fatto con la vita, è così che possiamo ripartire dentro questa nuova fase: tenendo ciò che per noi conta, lasciando andare qualcosa che non ci piace, che non possiamo continuare oppure che non sentiamo più appartenerci, e costruendo nuove strade da percorrere.

Alessandro Busi
psicologo e psicoterapeuta a Padova, Mestrino e su Skype

La riscoperta delle parole #6: virtuale

6 Maggio 20202 commenti

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A febbraio uscì una notizia che mi colpì molto. Ve la riassumo, ma lascio anche il link a un articolo più completo. La storia è questa.
Un vigile urbano di 44 anni di un piccolo paese lombardo parcheggiò impropriamente la propria auto in un parcheggio per disabili. Il presidente di un’associazione per disabili la fotografò e denunciò attraverso i propri canali social il comportamento scorretto. A quel punto, il vigile fu inondato di offese, minacce e auguri di morte, che continuarono anche quando pagò la multa e quando fece una donazione all’associazione accompagnata a una lettera di scuse per l’errore commesso. Ma la cosa ormai era sfuggita di mano.
Quello che immagino è che, per quest’uomo, la vergogna fosse diventata troppo grande da sopportare, così, il 3 febbraio, decise di togliersi la vita.
La storia potrebbe finire qui, invece nei giorni successivi fu il presidente dell’associazione a diventare bersaglio di offese, minacce, auguri di morte.

Potremmo chiederci tante cose per capire una tragedia simile: perché denunciamo i comportamenti scorretti attraverso i social, cosa ci aspettiamo che accada? Come funziona la dimensione di branco, quando il territorio è quello telematico?
Potremmo interrogarci sulla vita dentro la quale queste offese cadevano. Alcuni articoli hanno sottolineato che il vigile viveva già una situazione di sofferenza. Certo, dico io, ma questo non ci assolve, anzi, ci ricorda che ogni volta che commentiamo, offendendo o elogiando, non stiamo scrivendo parole che cadono nel vuoto, ma stiamo intervenendo nella vita di qualcun altro, una vita già fatta di felicità, dolori, paure, speranze…
A prescindere dal punto di vista che scegliamo di adottare, è innegabile che le esperienze virtuali generino dentro di noi emozioni che sono reali tanto quanto le emozioni legate alle esperienze offline.

In queste settimane, tutti, anche i più restii, ci siamo trovati di fronte alla necessità di ampliare la nostra vita telematica: per lavorare, per poter incontrare parenti e amici, per poter allargare le mura di casa. Qualcuno ha accolto questa novità, qualcuno l’ha rifiutata, molti l’hanno accettata con momenti alterni di piacere e fastidio. Non credo ci sia un modo giusto e uno sbagliato di viverla, ma quello che è certo è che tutti abbiamo provato, rispetto al nostro essere online, emozioni che non possiamo sminuire, perché sono emozioni che riguardano le nostre relazioni, il nostro mondo e la possibilità di immaginarci nuovi.

Lo stesso è successo anche in psicoterapia. L’aumento – parlo di aumento perché io ho sempre fatto anche terapia online – dei colloqui via Skype ha permesso di scoprire differenze personali dentro un cambio di setting così forte (chi lo preferisce? Per chi è difficile? Come mai?), ha permesso modi nuovi di stare assieme (es. Come mi sento a chiedere la privacy ai miei familiari?), emozioni potenti – positive e negative che siano – che non ci saremmo aspettati (es. Come mi sento a raccontarmi in terapia, ma dentro le mura di casa?). In altri termini, questi nuovi vincoli ci hanno obbligato a esplorare strade che magari non avremmo percorso e quindi ad averle, ora e nel futuro, come alternative in più.

Per questo, la parola che voglio riscoprire oggi è virtuale, perché possiamo provare a smettere di considerarla come un realtà meno reale, ma come una via possibile: possiamo rifiutarla, accettarla, oppure decidere in che modo percorrerla; possiamo chiederci come ci stiamo, cosa ci concediamo, cosa evitiamo e cosa potremmo fare di diverso; possiamo chiederci che ricadute ha nella nostra vita, nelle nostre relazioni; possiamo immaginare le ricadute di ciò che facciamo nelle vite di chi incontriamo online; ma non possiamo prescindere dal pensare che fa parte della storia che scriviamo, oggi.

Alessandro Busi
psicoterapeuta a Padova, Mestrino e su Skype

Le precedenti parole riscoperte sono: attesa, quasi, vulnerabilità, come se, relazione.

Si può fare psicoterapia online?

13 marzo 202012 marzo 20202 commenti

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In questi giorni stiamo vivendo molte sfide che riguardano il nostro modo di vivere:

La mia libertà individuale ha dei limiti?
Le mie scelte hanno una ricaduta sociale ampia?
Cosa mi resta da scegliere quando sono dentro dei vincoli più stretti del solito?

Queste sono solo alcune delle domande che ci stanno venendo incontro, talvolta in modo minaccioso, perché riguardano i nostri significati più profondi, quindi vanno a modificare le abitudini che davamo per scontate, quelle che pensavamo non sarebbero cambiate mai.

Nel mondo della psicoterapia, una questione grande e concreta che si sta ponendo è quella di effettuare i percorsi online perché è un cambiamento rispetto al solito, perché per alcune persone è un cambiamento difficile da costruire.

Personalmente conduco da sempre anche terapie online, per le persone che scelgono questa modalità, o ancora per chi è lontano da Padova e Mestrino, ma oggi la questione si allarga a tutti, quindi provo a rispondere ad alcuni dubbi comuni* sulla psicoterapia online.

Si può fare psicoterapia online?
Sì, perché si tratta di fare lo stesso percorso con delle caratteristiche nuove. Come la stanza della terapia, i colori delle pareti, le immagini appese, la presenza di libri o meno… entrano in gioco nel nostro modo di vivere la terapia, così l’incontro online porterà con sé vissuti diversi. Questi, come quelli di prima, parleranno di noi, delle nostre esperienze, del nostro modo di vedere il mondo, quindi sono materiale utile proprio per la psicoterapia.

Ma online non è più finta?
Anni fa condussi un seminario dal titolo Virtuale e/è reale. Esploravo come la divisione fra virtuale e reale cada nel momento in cui pensiamo alle nostre emozioni, sensazioni, desideri. In questi anni di lavoro sul campo, nell’ambito del cyberbullismo, per esempio, ho potuto vedere con ancora maggiore chiarezza che quello che viviamo online è reale, perché la sofferenza di una persona di fronte alle offese online, lo è; così come lo è la gioia di quando riceviamo dei like (uno studio che lessi qualche tempo fa, riscontrava le stesse reazioni neurologiche di quando ci vengono fatti dei complimenti di persona).
Quindi, tornando a noi, la terapia online è vera come sono veri i nostri i vissuti che proviamo; l’incontro telematico è una diversa porta per entrare nel nostro mondo personale.

L’efficacia è la stessa?
Sì, perché una terapia è efficace quando si costruisce una relazione utile fra terapeuta e paziente. Costruire una relazione usando uno strumento telematico porta con sé la stessa sfida di comprensione che c’è anche negli incontri in studio. Certo, è diverso, ma diverso non vuol dire diminuito; vuol dire che, come dicevo prima, apre porte nuove.

E la privacy?
Qui ci sono tre livelli:
– le piattaforme di videochiamata garantiscono la privacy delle comunicazioni che avvengono al loro interno. Se ci pensiamo, sarebbe a dir poco controproducente per loro non garantirlo. Vorrebbe dire non avere più utenti;
– il terapeuta sceglie anche per le terapie online un luogo che garantisce il mantenimento del segreto professionale delle comunicazioni;
– il paziente potrà scegliere di svolgere questi colloqui in un posto nel quale si sente sicuro e libero per parlare. Questo per qualcuno è facile, per altri è una sfida, che ha a che vedere con le proprie relazioni, quindi diventa, nuovamente, materiale utile proprio per la psicoterapia (es. Come faccio a chiedere a mio/a marito/moglie/compagno/compagna di rispettare i miei spazi?)

Come funziona concretamente?
Funziona in modo molto simile agli appuntamenti in studio: si concordano l’ora dell’appuntamento e la piattaforma che si userà e si effettua il colloquio che dura i canonici 50 minuti. La spesa rimane detraibile come spesa sanitaria.

Tirando le fila:
la psicoterapia è in primis relazione e la relazione può essere diversa, ma non si può cancellare, quindi, terapia online e di persona sono due modi diversi di stare assieme, ognuno con le proprie specificità e significati, quindi, ognuno che porta con sé dei vissuti utili da esplorare. Una non è più vera dell’altra, o più efficace, perché vero ed efficace è l’incontro fra due persone, che sia dal vivo, che sia online.

Lo dicevo all’inizio: tutti stiamo vivendo un momento di ridefinizione delle nostre abitudini e modi di stare assieme, quindi, anche la psicoterapia non poteva esserne esente. Questo di certo ci mette in difficoltà, ma ci apre anche alla possibilità creativa di cambiare.

* Queste sono le domande più comuni che in questi anni mi sono state poste, ma immagino che altre ce ne siano, quindi, chi avesse dubbi o curiosità mi può contattare al 3275389290 oppure via mail a alessandrobusi.psy@gmail.com oppure ancora sulla mia pagina di Guidapsicologi.

Alessandro Busi
Psicoterapeuta a Padova, Mestrino e su Skype

Dipendenza da internet: oltre la rassegnazione

16 ottobre 201818 marzo 20201 commento
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Illustrazione “Youtube” di Giulio Castagnaro

Un tema sempre più presente oggigiorno è la dipendenza da internet.
Di solito, per parlarne, si cerca la linea che separa l’uso normale dall’uso patologico delle nuove tecnologie: definire il giusto tempo da spendere online. Questo nasce da un’idea: il tempo giusto è quello della “vita reale”, mentre quello speso online è “tempo perso/speso male”.
Non mi interessa mettere in discussione questo modo di vedere, ma mi chiedo: è utile per comprendere ciò che vive una persona online? È utile per comprendere il vissuto di una persona che potremmo definire dipendente da internet?
Quello che vi propongo è di provare a cambiare sguardo e concentrarci sulle relazioni e sulla comprensione delle storie personali. Partiamo così: come mai una persona preferisce passare sempre più tempo online?

Immaginiamo una storia*.

Andrea è un ragazzo di 23 anni, alto, moro, timido, direbbe lui di sé. Nella sua giovane vita alterna un rapporto di odio e amore con le nuove tecnologie. Se in certi periodi dell’infanzia è quello che incita gli amici a uscire di casa e mollare i videogiochi, in adolescenza si concede lunghe serate davanti al pc: soprattutto sui social e in chat.
Quello che più gli piace è riuscire a conoscere persone. Per quanto non lo racconti a nessuno, in chat si sente bene: sente di potersi raccontare al meglio, di poter dire la propria idea senza vergognarsi, di poter mostrare interesse anche per le ragazze, senza essere impacciato e goffo come nella vita di tutti i giorni.
Dopo gli anni delle scuole superiori, Andrea inizia a lavorare come magazziniere in un negozio di grande distribuzione, mentre gli amici se ne vanno all’università e si sparpagliano in tante città diverse. Continuano a vedersi, certo, ma le cose cambiano. Spesso pensa che anche lui avrebbe potuto continuare gli studi, ma quando ci pensa sente un brivido che gli sale lungo la schiena e gli dice che non sarebbe riuscito, che avrebbe fatto la figura del cretino, che è meglio così. E in quel così, Andrea scopre la propria solitudine, che ormai sente sempre più ineluttabile: fatica a parlare con gli altri (genitori, compagni di calcetto, amici…) e gli sembra l’unica sua scelta sia quella di rassegnarsi. Dico, gli sembra, perché c’è ancora un posto nel quale Andrea si sente compreso, le chat, i social network, i commenti; più in generale, la sua vita online. Lì nessuno gli parla sopra e a chi lo offende sa rispondere per le rime. Nessuno lo guarda con quello sguardo pietoso che conosce fin troppo bene. Lì nessuno se ne va, nessuno rimane, e, quando le cose non vanno come vuole lui, può chiudere la pagina e mettersi in gioco da qualche altra parte.
Sono i suoi genitori a non capire! Sono loro a urlargli che esagera, che dovrebbe uscire, trovarsi una fidanzata: ma cosa ne sanno loro?! E come se non bastasse, ci si mettono anche gli amici, che lo invitano a conoscere i nuovi compagni universitari e quando lui rimanda e rimanda e rimanda, si offendono pure. Solo nelle chat le persone lo capiscono. Quando lui racconta quello che prova – quello che, quando vorrebbe confessarlo agli amici, sente un grumo che gli ferma le parole in gola – i suoi amici telematici, gli rispondono con parole ed emoticon che lo fanno sentire meno solo e tanto gli basta per preferire quel tipo di relazioni a quelle di tutti i giorni.
Non lo fa apposta. A chi gli chiede, non sa rispondere, e quasi non se ne accorge che, lavoro a parte, il resto del tempo lo passa al computer, o al telefono, ma soprattutto che nel resto del tempo è scontroso e ha quasi paura che gli altri lo cerchino.
Di nuovo, sono i genitori ad accorgersi che qualcosa non va e a convincerlo, non senza difficoltà (“Mica sto facendo del male a nessuno!”, dice lui durante un litigio, “Ma cosa te ne fai della tua vita?”, gli ribatte sua madre) a iniziare una psicoterapia. All’inizio, lui è molto contrariato e si impegna a raccontare allo psicologo che va tutto bene, tutto benissimo, tutto troppo, troppo bene. Troppo bene, anche per lui, che dopo aver tastato quella strana relazione come si fa con la punta dei piedi prima di tuffarsi, e aver deciso che avrebbe potuto fidarsi, inizia a portare le sue paure, il suoi desideri, i timori che lo immobilizzano quando è con gli altri, il sogno di avere una vita come quelle degli altri, che gli sembrano così irraggiungibili. Assieme al suo psicoterapeuta stanno in questo suo dolore e provano a comprenderlo. Provano anche a comprendere chi siano e come siano queste vite così perfette da cui lui si immagina circondato, ma più di tutto, riscoprono la paura, che smette di essere un raggio congelante come nei film dei supereroi. Andrea fraternizza con i suoi brividi e, piano, piano, si concede di avere la paura come compagna di viaggio, che forse non vorrebbe, ma che non lo blocca più. Andrea scopre quindi che, come tutti, non è perfetto, ha delle goffaggini, ma scopre anche che questi aspetti di sé non dispiacciono agli altri, e nemmeno più a se stesso. Andrea, come tutti oggi, passa ancora tanto tempo online, ma ogni volta che decide di stare a casa invece di fare altro, o che decide di chiudere il pc e uscire, sa che ha tanti modi di stare assieme agli altri, o di stare da solo, e che la sua vita ha nuove strade da percorrere oltre alla rassegnazione.

Alessandro Busi
Mestrino, Padova e su Skype

*Ogni fatto raccontato e personaggio inserito è frutto dell’immaginazione dell’autore e non c’è nessun riferimento alla realtà.

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3275389290 alessandrobusi.psy@gmail.com

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Alessandro Busi Psicoterapeuta Padova

Alessandro Busi Psicoterapeuta Padova
Dott. Alessandro Busi psicologo-psicoterapeuta

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