In un articolo uscito a febbraio sulla testata Quartz, la ricercatrice Olivia Remes parla di un tipo particolare di depressione, che viene chiamato Smiling depression, o Depressione con sorriso. Ne parla come di una “depressione atipica”, difficile da scoprire perché, guardando la vita di queste persone da fuori, con gli occhiali del senso comune, “potrebbe sembrare che non abbiano alcuna ragione di essere depressi”, eppure.
Eppure, quello che ognuno di noi vive non è quello che si vede in superficie, ma la propria esperienza propria.
E cosa succede quando esperienza e superficie si allontanano?
Succede, per esempio, che ci convinciamo che dovremmo essere felici perché, che so, abbiamo un lavoro, anche se quel lavoro ci dà la sensazione di gettare le ore della nostra vita, allora ci imponiamo di silenziare questo vissuto.
Questo può accadere in molti ambiti: genitori che devono essere contenti di essere genitori, studenti che devono essere contenti di poter studiare, giovani che vanno a vivere all’estero e devono essere contenti di poter vivere questa esperienza.
Ma come ci sentiamo quando non è così?
Come ci sentiamo quando abbiamo dei dubbi?
La sensazione è quella di essere sbagliati, perché non riusciamo a provare quello che pensiamo di dover provare. Accanto a ciò emergono la vergogna di quello che sentiamo, la paura di deludere chi ci sta accanto, di passare per ingrati, di dare preoccupazioni che non ci sentiamo di dare e che temiamo potrebbero essere prese sotto gamba.
Che fare, quindi?
La Depressione col sorriso rappresenta proprio il tentativo di fronteggiare tutte queste paure: indossare una maschera sorridente e vincente, che nasconda quello che sentiamo. Il problema è che quello che sentiamo intimamente non scompare, ma rimane lì e diventa ogni giorno meno dicibile. Ci aggrappiamo sempre di più al fatto di “essere persone sorridenti” e ci sentiamo sempre meno di poter essere anche tristi.
Non è un caso che un’esperienza comune di chi viene in psicoterapia sia quella di scoprire che c’è almeno un posto in cui tutto quello che li fa vergognare è dicibile e, sorpresa, di incontrare una persona che non lo trova strano, assurdo, ma anzi, comprensibile.
Perché proprio questa è l’esperienza che molti sperimentano in una psicoterapia: da un lato, sentire che quello che vivono ha senso, magari non è quello che desideravano, ma ha senso nella loro vita; dall’altro, iniziare a pensare chi altro possono essere oltre alla “persona sorridente”, chi altro vogliono essere assieme agli altri, chi altro vogliono che gli altri siano per loro, che relazioni cercano.
Certamente non è così semplice, né lineare. Spesso le persone si trovano di fronte a paure che non vorrebbero avere, che sono lente e difficili anche solo da guardare, ma sanno di poterlo fare.
È così, infatti, che possono scoprire di essere complesse e che questa complessità non hanno più bisogno di nasconderla, ma possono scegliere, di volta in volta, come permettere a sé e a chi sta loro accanto di scoprirla.