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Alessandro Busi Psicoterapeuta Padova

Ogni vita merita un romanzo

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Tag: paura della morte

Per il nuovo anno, voglio…

2 gennaio 202018 marzo 2020
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Foto di Tirachard Kumtanom 

Il nostro modo di vivere il tempo è quello di scandirlo: ore, giornate, mesi, anni. In questa scansione, ci sono momenti a cui diamo significati particolari. I compleanni, per esempio, che spesso portano con sé momenti di riflessione, scelte e anche crisi: ho 20, 30, 40, 50, 60, 70 anni e la mia vita?

Un momento che per molti è un’occasione per fare il punto è quello del cambio di anno: come è stato l’anno appena concluso?
Cosa voglio per l’anno prossimo?
Con chi voglio l’anno prossimo?

Spesso queste sono anche le domande che le persone portano con sé quando vengono in psicoterapia, perché, di fronte al desiderio di cambiare qualcosa nella propria vita, poi si chiedono: va bene, ma come faccio? Cosa succede se cambio? Come si fa?

Per questo inizio di anno, vi presento oggi un breve Ted talk che si intitola “Prima di morire voglio…” dell’artista americana Candy Chang. Nel video racconta di quando fece un esperimento: scrivere su un muro “prima di morire voglio…” e vedere cosa avrebbero scritto le persone.

Il risultato del suo esperimento potete leggerlo e vederlo qui sotto, ma noi possiamo prendere spunto e chiederci: per questo nuovo anno, voglio…

Alessandro Busi
Padova, Mestrino e su Skype

Prima di morire voglio…

Ci sono molti modi in cui le persone attorno a noi possono migliorare le nostre vite. Non interagiamo con tutti i nostri vicini, e così tanta esperienza non viene trasferita, sebbene condividiamo gli stessi spazi pubblici.

Così gli anni passati ho cercato modi di condividere di più con i miei vicini negli spazi pubblici, usando strumenti semplici come adesivi, stencil e gessetti. Questi progetti partivano dai quesiti che mi ponevo, ad esempio, quanto pagano di affitto i miei vicini? Come possiamo prestare o farci prestare più cose senza bussare alla porta al momento sbagliato? Come possiamo condividere di più i nostri ricordi degli edifici abbandonati, e comprendere al meglio i nostri paesaggi? E come possiamo condividere di più le nostre speranze per i negozi sfitti in modo che le nostre comunità possano rispecchiare oggi le nostre necessità e i nostri sogni?

Ora, io vivo a New Orleans, e sono innamorata di New Orleans. La mia anima è sempre confortata dalle vive querce giganti, che offrono riparo ad amanti, ubriachi e sognatori da centinaia di anni, e mi fido di una città che dà sempre spazio alla musica. Ho l’impressione che appena qualcuno starnutisce, New Orleans fa una parata. La città ha tra le più belle architetture al mondo, ma è anche tra le città degli Stati Uniti con più immobili abbandonati. 

Vivo vicino a questa casa, e ho pensato a come rendere lo spazio più piacevole per i miei vicini, e ho pensato anche a qualcosa che ha cambiato la mia vita per sempre.

Nel 2009, ho perso qualcuno che amavo molto. Si chiamava Joan, per me è stata una madre, e la sua morte è stata improvvisa e inaspettata. Ho pensato molto alla morte, e mi ha fatto sentire una profonda gratitudine per i momenti trascorsi, e ha fatto chiarezza sulle cose che hanno un significato per la mia vita di adesso. Ma faccio fatica a mantenere questa prospettiva nella vita di tutti i giorni. Ho l’impressione che sia facile farsi prendere dalla routine, e dimenticare quello che è davvero importante.

Così con l’aiuto di amici vecchi e nuovi, ho trasformato la facciata di questa casa abbandonata in una gigantesca lavagna e ci ho stampato su una frase da completare negli spazi vuoti: “Prima di morire, voglio…” Così chiunque passava poteva prendere un gessetto, riflettere sulla propria vita, e condividere le proprie aspirazioni personali in uno spazio pubblico.

Non sapevo cosa aspettarmi da questo esperimento, ma il giorno dopo, il muro era pieno di scritte, e hanno continuato ad aumentare. E vorrei condividere alcune cose che le persone hanno scritto su questo muro.

“Prima di morire, voglio essere processato per pirateria.” “Prima di morire, voglio stare a cavalcioni sulla Linea del Cambiamento di Data.” “Prima di morire, voglio cantare per milioni di persone.” “Prima di morire, voglio piantare un albero.” “Prima di morire, voglio vivere senza vincoli.” “Prima di morire, voglio abbracciarla un’ultima volta.” “Prima di morire, voglio correre in aiuto di qualcuno.” “Prima di morire, voglio essere me stesso, completamente.”

Così questo spazio trascurato è diventato uno spazio costruttivo, e le speranze e i sogni delle persone mi hanno fatto ridere fragorosamente, piangere, e mi hanno consolato nei periodi difficili. Si tratta di sapere che non sei solo. Si tratta di capire i tuoi vicini in un modo nuovo e istruttivo. Si tratta di fare spazio alla riflessione e alla contemplazione, e ricordare quello che davvero ci importa di più mentre cresciamo e cambiamo. 

L’ho realizzato l’anno scorso, e ho iniziato a ricevere centinaia di messaggi da appassionati che volevano realizzare un muro all’interno della loro comunità, così insieme ai miei colleghi del centro civico abbiamo creato un kit e ad oggi sono stati trasformati muri nei paesi di tutto il mondo, incluso il Kazakistan, il Sud Africa, l’Australia, l’Argentina e oltre. Insieme, abbiamo mostrato quanto coinvolgente possa essere lo spazio pubblico se ci viene data l’opportunità di dire la nostra e condividere di più gli uni con gli altri.

Due delle cose più preziose che abbiamo sono il tempo e i rapporti interpersonali. In un’epoca in cui aumentano le distrazioni, è diventato sempre più importante trovare il modo di mantenere la giusta prospettiva e ricordare che la vita è breve e fragile. La morte è qualcosa di cui preferiamo non parlare o a cui preferiamo non pensare ma, mi sono resa conto che prepararsi alla morte è una delle cose che ti dà maggiore forza. Pensare alla morte chiarisce la nostra vita. 

Gli spazi condivisi possono rispecchiare al meglio ciò che è importante per noi come individui e come comunità, e con sempre più modi di condividere le nostre speranze, paure e storie, le persone intorno a noi possono aiutarci non solo a rendere migliore i luoghi, ma anche a condurre una vita migliore.

 

La paura della morte e della vita come la viviamo

11 novembre 201918 marzo 20202 commenti

Una vecchia massima latina diceva che, se si vuole avere la pace, bisogna prepararsi alla guerra: si vis pacem, para bellum.

Questa massima fu ripresa da Sigmund Freud, che la trasformò in chiave psicoanalitica: si vis vitam, para mortem – se vuoi la vita, pensa che nel tuo futuro ci sarà la morte.

Negli ultimi mesi, ho letto un libro di Irvin Yalom, famoso psicoterapeuta e romanziere americano, che in Fissando il sole affronta un tema che non solo accomuna, ma si presume contraddistingua proprio gli esseri umani dagli altri animali: la paura della morte.

Come l’autore suggerisce nel titolo, il pensiero della nostra morte è qualcosa come fissare il sole, qualcosa che ci fa male, ma che comunque ci succede di fare.

Proprio perché è strettamente legato alla vita, la paura della morte è un tema di cui si parla in psicoterapia e che apre le porte a uno sguardo sulla vita e su come la viviamo.

Oggi voglio provare a parlarne prendendo uno stralcio dal libro di Yalom. Nelle righe che seguono, leggerete il confronto fra una donna e il suo psicoterapeuta e i ragionamenti che ne emergono spero possano essere spunti utili per molti.

Buona lettura.

Alessandro Busi –
Padova, Mestrino e su Skype

yalom

*«mi permetta di rivolgerle una domanda forse banale. Perché la morte è così terrificante? Che cosa in particolare la spaventa della morte?»

Rispose istantaneamente: «Tutte le cose che non ho fatto».

«Vale a dire?»

«Devo proprio raccontarle la mia storia di artista. Io, per prima cosa, sono stata un’artista. Tutti quanti, tutti i miei insegnanti, mi dicevano che avevo un grande talento. Però, anche se nel corso della giovinezza e dell’adolescenza ho ricevuto riconoscimenti considerevoli in tal senso, quando ho deciso di dedicarmi alla psicologia ho messo l’artista da parte». Poi si corresse: «No, non è del tutto vero. Non l’ho messa completamente da parte. Comincio spesso un disegno o un dipinto, ma non li porto mai a termine. Inizio qualcosa e poi lo ficco in un cassetto della scrivania, che assieme all’armadietto nel mio studio è piena zeppa di lavori incompiuti».

«Perché? Se ama dipingere e comincia dei progetti, che cosa le impedisce di portarli a termine?»

«I soldi. Ho molto da fare e svolgo pratica terapeutica a tempo pieno».

«Quanti soldi guadagna? Di quanto ha bisogno?»

«Be’, la maggior parte della gente direbbe che guadagno un bel po’. Incontro i pazienti per almeno quaranta ore alla settimana, spesso di più. Ma ci sono le rette esorbitanti delle scuole private di due bambini».

«E suo marito? Mi ha detto che anche lui è un terapeuta. Lavora altrettanto sodo e guadagna quanto lei?»

«Ha lo stesso numero di pazienti, a volte di più, e guadagna anche di più: molte delle sue ore sono impiegate in test neuropsichici, che sono economicamente più vantaggiosi».

«Quindi sembra che tra lei e suo marito abbiate più soldi di quanti ve ne servono. Tuttavia lei mi dice che i soldi le impediscono di perseguire la sua arte?»

«Be’, si tratta dei soldi, ma in un senso strano. Vede, io e mio marito siamo stati sempre in competizione per chi dei due guadagnava di più. Non è una cosa riconosciuta apertamente, non è una competizione esplicita, ma io so che è lì, che esiste sempre».

«Allora lasci che le faccia una domanda. Supponiamo che una paziente venga nel suo studio e le dica di avere un grande talento e ardere dal desiderio di esprimersi dal punto di vista creativo, ma che non può farlo perché è in competizione con il marito per guadagnare più soldi, soldi dei quali non ha bisogno. Che cosa le direbbe?»

Posso ancora sentire la risposta immediata di Julia, con il suo stretto accento britannico: «Le direi: Sta vivendo una vita assurda!»

Da quel momento il lavoro di Julia in terapia consistette nel trovare un modo di vivere meno assurdo. Esplorammo la competitività nella sua relazione coniugale e anche il significato dei disegni abbozzati nella scrivania e negli armadietti. Prendemmo in considerazione la possibilità, per esempio, che l’idea di un destino alternativo stesse agendo per controbilanciare in qualche modo la linea retta che s’allungava tra la nascita e la morte. O c’era forse un vantaggio per lei nel non finire i suoi lavori e, quindi, nel non mettere alla prova i limiti del proprio talento? Forse voleva perpetuare la convinzione che avrebbe potuto fare grandi cose, se solo lo avesse desiderato. Forse c’era qualcosa di attraente nell’idea che, se avesse voluto, sarebbe potuta diventare una grande artista. Forse nessuna delle sue opere riusciva a raggiungere il livello che lei pretendeva da se stessa. Julia si trovò particolarmente in consonanza con quest’ultimo pensiero. Era eternamente insoddisfatta di sé e si appellava a un motto che aveva imparato a memoria all’età di otto anni, dopo averlo visto scritto su una lavagna a scuola: Buono migliore il meglio Non fermarti mai finché Il buono è migliore E il migliore è il meglio di te.

La storia di Julia è un altro esempio del modo in cui l’angoscia della morte può manifestarsi in forma occulta. Julia si presentò per la terapia con una gamma di sintomi che erano un travestimento quasi trasparente dell’angoscia della morte.

[…]

Julia aveva cominciato a confrontarsi direttamente con ciò che le impediva di vivere in modo soddisfacente la propria vita.

«Di cosa precisamente ha paura riguardo alla morte?» È una domanda che pongo spesso ai miei pazienti, perché provoca una varietà di risposte che spesso accelerano l’andamento della terapia. La risposta di Julia: «Tutte le cose che non ho fatto» mette in rilievo un tema di grande importanza per molti che riflettono sulla morte o devono affrontarla: la sicura correlazione tra la paura della morte e la percezione di una vita non vissuta. In altre parole, più la vita viene percepita come non vissuta, più grande è l’angoscia della morte. Più non si riesce a sperimentare la vita con pienezza, più si avrà paura di morire.

* questo stralcio è preso da pagina 45 di Fissando il sole di I. Yalom, edito da Neri Pozza.

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3275389290 alessandrobusi.psy@gmail.com

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Alessandro Busi Psicoterapeuta Padova

Alessandro Busi Psicoterapeuta Padova
Dott. Alessandro Busi psicologo-psicoterapeuta

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